Un riff di chitarra surf rock che tiene alta la tensione: impossibile non rievocare le note del “James Bond Theme”, composto da Monty Norman per lanciare i titoli del primo film (1962) sulle avventure dell’agente segreto più famoso del cinema, e da allora mai dismesso. La sei corde in questione era quella di Vic Flick, musicista britannico che in carriera ha collaborato con alcuni illustri colleghi (tra cui Jimmy Page, Eric Clapton, Tom Jones), scomparso lo scorso novembre.
Il “Theme” è solo uno dei brani di successo legati a 007. Pezzi che hanno ispirato i tanti, tantissimi artisti che si sono sbizzarriti nella loro reinterpretazione. L’occasione per parlarne ce la dà la ristampa della colonna sonora di “Missione Goldfinger”, il cui tema principale fu affidato alla voce di Shirley Bassey. Come raccontato da Corrado Antonini a “Bourbon Street”, su Rete Due, fu la prima delle Bond song, le canzoni chiamate a sostenere l’uscita di ogni film della serie. Musiche, quelle firmate dal compositore britannico John Barry, che sono diventate nel tempo veri e propri standard. Per dire, “Goldfinger” si issò in cima alle classifiche di vendita in un’epoca dominata dai Beatles, e fissò il tono musicale dei film successivi, con il jazz orchestrale ingrediente principe.
Il legame fra Bond e il jazz possiamo tranquillamente farlo risalire alla nascita del personaggio, considerato che il suo creatore, lo scrittore Ian Fleming, si ispirò al jazzista Hoagy Carmichael, elegante e raffinato ma «Con qualcosa di crudele nella bocca e negli occhi qualcosa di freddo» così lo descrisse lo stesso autore britannico.
Abbiamo divagato - ma neanche troppo - adesso torniamo alle riletture delle musiche di Bond. Solo per il tema se ne trovano di ogni: citiamo quella dei Naked City di John Zorn, con la loro mistura d’impatto a base di jazz, punk rock, lounge e Frank Zappa, quella danzerina di Moby, e poi ancora quella ska degli Skatalites, l’omaggio dell’ex Magazine e “Bad Seed” Barry Adamson e, spingendoci nell’esotico, quella Thai beat di Son of PM.
(Ri)partiamo con la consapevolezza che non riusciremo a essere esaustivi, tali e tante sono le riletture della musica scritta da Barry per i film di James Bond che possiamo trovare in giro.
Un’altra Bond song che ha attirato parecchi musici è “You Only Live Twice”, cantata da Nancy Sinatra, dalla colonna sonora di “Si vive solo due volte”. Consideriamo che l’originale uscì in due versioni - una per il film e l’altra per il singolo - e già abbiamo un principio di moltiplicazione. Negli anni diversi artisti l’hanno rifatta, tra cui Björk, Soft Cell, Coldplay, il chitarrista jazz Bill Frisell, i garage punk australiani Scientists. Ne troviamo traccia anche nel pop commerciale che più commerciale non si può: porzioni di canzone furono infatti risuonate per “Millennium” di Robbie Williams.
Nei Novanta la nuova musica elettronica ha riportato in auge le colonne sonore del cinema e i loro autori più celebrati. Personaggi del calibro di Ennio Morricone, Henry Mancini, Lalo Schifrin... E, naturalmente, John Barry. Anche le sue composizioni sono state ascoltate, assimilate, sezionate, campionate e rimescolate con i generi che andavano in quel momento. Prendiamo ad esempio il big beat, l’elettronica ipertrofica che assembla techno, rock, hip hop. Di questa schiera di musicisti facevano parte i due produttori/dj inglesi noti con il nome di Propellerheads. La loro “History Repeating”, singolone dal loro unico LP “Decksandrumsandrockandroll”, si avvale dell’interpretazione canora proprio di Shirley Bassey, mentre in “On Her Majesty’s Secret Service” i due si divertono a riutilizzare l’omonimo brano dalla colonna sonora dell’unico film con George Lazenby nel ruolo di 007. Abilmente manipolati alla bisogna, i fiati dell’originale guizzano sui battiti di un funk elettronico dal ritmo sostenuto ma non monotono, fino alla sorpresa del bridge, in cui rallentano il passo della loro creatura inserendo “Space March”, che invece fa parte della colonna sonora di “Si vive solo due volte”. Per poi riprendere da capo.
In questa parziale rassegna non poteva mancare l’hip hop, che è caratterizzato dai campionamenti, dal riutilizzo creativo di frammenti di canzoni per crearne di altre. Forse perché condizionati dall’ostentazione di ricchezza gangsta, il pensiero corre subito a “Diamonds Are Forever”, legata al film “Una cascata di diamanti”, ancora una volta consegnata al timbro vocale graffiante di Bassey. Pezzo molto apprezzato dai produttori rap, forse proprio per il legame con il bling-bling, la gioielleria dei rapper che al luccichio dell’oro e delle preziosissime pietre deve il suo onomatopeico nome. Diamanti la cui estrazione, si pensi al caso dell’Africa, può essere un affare sporco, insanguinato. Come raccontato nelle rime di “Diamonds from Sierra Leone” di Kanye West, firma illustre dell’hip hop, che contiene, appunto, elementi di “Diamonds Are Forever”.
Bastano questi relativamente pochi esempi per capire come le musiche di 007 siano destinate a vivere ben più che solo due volte.