Ricorrono il 29 gennaio prossimo i 100 anni dalla nascita del compositore veneziano Luigi Nono, tra i massimi rappresentanti dell’avanguardia europea del secondo dopoguerra.
Dal 26 al 29 gennaio verrà ripresentata la composizione “Prometeo. Tragedia dell’ascolto”, nella Chiesa di San Lorenzo a Venezia: lo stesso luogo per cui fu concepita e dove debuttò per la prima volta quarant’anni fa.
Un’opera rimasta nella storia della musica moderna, che 40 anni fa coinvolse oltre allo stesso Nono grandi artisti, progettisti, filosofi, musicisti, impiegando il più imponente e avanzato complesso tecnologico del tempo. Tra di essi c’era anche Massimo Cacciari, intervistato lunedì 22 novembre da Alphaville.
Cacciari, in quale contesto culturale e politico si colloca il suo incontro con Luigi Nono?
“Comuni interessi e culturali, comuni letture e negli anni ’60-‘70 anche un comune impegno politico. Eravamo entrambi impegnati molto concretamente nelle vicende della sinistra italiana del Partito comunista”.
In che punto del suo percorso filosofico si trova Cacciari quando incontra Nono e in che modo questo incontro ne modifica la rotta?.
“Non ha modificato la rotta del mio percorso filosofico. Avevo già pubblicato varie cose, avevo diretto una rivista che si intitolava ‘Angelus Novus’, con un esplicito riferimento a Walter Benjamin. Poi con Asor Rosa, Tronti e altri avevo diretto ‘Contropiano’, una rivista che ebbe il suo rilievo negli anni della contestazione, nell’autunno caldo... Da lì cominciai la collaborazione con Nono. Poi chiaramente i linguaggi furono diversi, lui era musicista io sono un filosofo”.
Lei nel ’76 pubblica “Krisis” per Feltrinelli, un libro che chiude con una fase del suo pensiero...
“Fino a un certo punto, perché poi certi temi e certi autori ricorrono costantemente anche nelle ultime mie cose. Krisis è importante per spiegare il mio rapporto con Nono, anche perché alcuni settori di quella ricerca, che riguardava in particolare poi la grande cultura viennese di inizio secolo, riguardano Schönberg, e quelle parti lì derivano tutte da colloqui, discorsi e discussioni con Nono. Tutta la parte musicale sia di Krysis che di tutte le mie cose tra gli anni ’70-‘80, tutte le idee che lì si possono trovare sono tutte debitrici del mio rapporto con Nono”.
Quella è un’epoca in cui politica militante e produzione culturale dialogano talvolta anche strettamente. Prometeo per certi aspetti è un esempio di questo, una grande impresa culturale, testimonianza di un rapporto proprio tra politica e cultura, tra politica intesa come vivere sociale…
“La politica c’entrava poco. Il rapporto di Nono con il Partito comunista, il rapporto con la dimensione propriamente pratico politica ormai era all’epoca del Prometeo un po’ passata. Semmai c’è stato un momento, all’inizio degli anni ’70, in cui da questa dimensione della fabbrica illuminata, della foresta giovane e piena di vita, nacque una stagione indimenticabile e irripetibile in cui anche grandi artisti erano direttamente impegnati sul piano della discussione del loro lavoro anche su un piano sociale e politico. Ricordo in particolare l’esperienza di ‘Musica in realtà’ a Reggio Emilia, cose oggi assolutamente inconcepibili, penso. Era un’epoca in cui artisti come Nono, come Abbado, come Pollini, tenevano concerti e lezioni-concerto nelle fabbriche con gli operai. Era un’utopia se si vuole, ma averla vissuta è una delle poche cose per cui oggi possa dire che insomma, forse valeva la pena che vivessi”.
Questa necessità di ascoltare, di pensare ascoltando, possiamo dire sia un problema che vediamo emergere anche nei suoi libri di quegli anni. Penso ad esempio a Icone della legge dell’85 per Adelphi. È possibile far risalire la comparsa di questo tema alla sua esperienza con Nono?
“Il sottotitolo, tragedia dell’ascolto, è venuto fuori dalla discussione tra me e Nono. Il problema per Nono e anche per me era quella di insistere sul rispetto di una pseudo civiltà dell’immagine e di un’immagine sconnessa rispetto al pensare, rispetto all’ascoltare, riportare l’attenzione a questa dimensione, dove c’è anche il richiamo all’ascolta per eccellenza, cioè all’ascolta Israele. Ma significa riporre l’attenzione sulla dimensione dell’invisibile e dell’invisibile. Perché è tragedia l’ascolto? Perché l’ascolto si protende fino all’inudibile, se no non è ascolto. Perché devi ascoltare? Per sentire tutti i rumori del mondo tu devi tendere il tuo ascolto fino all’inudibile, tu devi tendere la tua visione fino all’invisibile, devi attendere la tua attesa fino all’inattendibile. In tutte le dimensioni della tua vita dovresti tendere all’ultima per dare a essa un effettivo valore. Quindi è una tragedia, perché questo ascolto ultimo non lo potrai mai attingere, non potrai mai ascoltare il silenzio. Questo è il dramma di tutte le ultime composizioni di Nono, che sono tutte giocate sull’estremo dell’udibile laddove eludibile proprio sfuma nell’inudibile. Questa è la grande difficoltà di tutte le ultime composizioni di Nono, la tragedia dell’ascolto che non avrebbe senso perché ascoltare di per sé è la cosa più semplice del mondo, ma tendere l’ascolto fino ad ascoltare il silenzio è la tragedia”.