Quando si dice Mina affiorano alla mente riferimenti che, in maniera trasversale, interessano generazioni diverse. Dagli Anni ‘60 fino al superamento del Millennio, l’artista ha oltrepassato ogni aspettativa, scalato classifiche e stabiliti veri e propri record. Un’artista che – celandosi al pubblico – è divenuta di fatto senza tempo e assolutamente iconica. Ma come era vissuto il fenomeno Mina negli anni in cui anche nella Svizzera italiana la musica leggera assumeva un ruolo sociale fondamentale?
Barbara Tartari e Giovanni Conti ne parlano con Gian Franco Angelin, musicista dell’indimenticata Orchestra Radiosa che proprio in quegli anni collaborò con la Tigre di Cremona:
Sentire la voce di Mina mi fa ricordare i primi anni Settanta, quando la conobbi in televisione. Dovevamo cantare e suonare mentre i concorrenti pensavano alla risposta delle domande che venivano poste. Mina mi piacque subito perché all’apparenza era una ragazza tranquilla, ma quando cantava diventava esplosiva. Avrebbe potuto benissimo essere una cantante americana. La sua padronanza tecnica, il suo vocalismo raggiungevano vette mai toccate in Italia, e in America non erano in molti quelli che avrebbero potuto essere al suo livello. Come tutti i grandi artisti, Mina padroneggiava le sue performance: registrava canzoni molto rapidamente e prediligeva la spontaneità del gesto. Questo succede solo ai cantanti talentuosi. Cosa direi a Mina se l’avessi di fronte? Che mi dispiace di non essere stato scelto da lei quando ha viaggiato con il suo trio. Ci sarei stato volentieri in quel gruppo. Quando Mina suonava brani allegri era incredibile, faceva saltare per aria il pubblico.
Quando si dice Mina…
Voi che sapete... 20.11.2024, 10:00
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Un ventennio di fuoco, e poi l’addio definitivo dalle scene. Mina è pura musica, una voce tecnicamente ed espressivamente irraggiungibile. Mette d’accordo tutti; e se chiedessimo a un pubblico variegato chi sia la più grande cantante italiana, il risultato sarebbe un plebiscito. La Tigre di Cremona vive i gloriosi anni sessanta e i successivi dieci tra i clamori e i riflettori della TV, valicando i confini nazionali e diventando celebre nel mondo. I suoi riferimenti sono Frank Sinatra e Chet Baker, sa cantare di tutto, dalla canzone leggera, alle arie d’opera, dalle arie napoletane alle canzoni latine. E tutto plasmato dalla sua vocalità inarrivabile che sa ricoprire di significato ogni sillaba del testo e ogni nota della partitura.
Poi, nell’estate del 1978, decide di andare in direzione contraria ad ogni regola dello show business e abbandona le scene. La sua musica è la sua meravigliosa voce vivono solo attraverso le incisioni. In un’era dove le grandi star del pop sono imperi di commercio e comunicazione, il percorso di Mina è opposto, misterioso e affascinante.
E vale la pena di essere raccontato attraverso alcune delle voci che, per vari motivi, possono svelarci qualcosa della sua multiforme essenza artistica.
A pochi giorni dall’uscita di “Mina. La voce del silenzio” (Ed. Il Saggiatore), in un’edizione speciale di “Montmartre”, si sono alternati al microfono musicisti, cantanti, musicologi e studiosi, poeti che ci hanno regalato la loro testimonianza. Tra questi: Jacopo Tomatis e Luca Formenton, rispettivamente curatore e editore del libro, musicisti che sono stati al suo fianco come Danilo Rea e Massimo Varini, il cantautore Claudio Sanfilippo che ha scritto canzoni per lei, il poeta Filippo Davoli che ne ha studiato e analizzato il percorso artistico, e i musicologi Paolo Prato e Roberto Favaro.
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