Giunti sul luogo, al Magazzino II di via Stand, a sorprenderci in primis è la disposizione dei palchi: due, opposti, e al centro la strumentazione di Chuchchepati Orchestra, composta da un giradischi enorme, un violoncello e una pletora di bizzarri altoparlanti nepalesi disseminati per la sala. La coppia, Dieter Kovačič e Patrick Kessler si presenta spiegando che suonerà degli enormi dischi scelti sulla base del tasso di rumore – il noise, appunto - dal pubblico. La sorte premia il terzo, con dei rilievi topografici che si preannunciano parecchio interessanti e potenzialmente cacofonici. Il violoncello inizia a essere ondulato mentre la puntina laser legge il paesaggio, le creste e i dislivelli del disegno, orchestrando un suono panoramico e profondo. Oltre a una buona dose di concetto e di impatto il suono è variegato, storto e avvolgente. Passeggiare davanti agli enormi amplificatori nepalesi offre una dinamica in continua evoluzione, che ricorda sia i suoni di progetti come Nmperign che certe compressioni free jazz. Un suono rappreso, presente e grumoso, che strega la platea sorpresa e concentrata, forse un po’ intimorita, che osserva in maniera ferma quasi abbracciando i musicisti circondandoli, senza godere del movimento possibile fra gli altoparlanti. Un’ottantina stimati i presenti, nota dopo nota ipnotizzati da un’esibizione che lega forma e sostanza.

Intervista agli organizzatori di Chiasso Means Noise (Neo, La 1)
RSI Cultura 22.03.2025, 19:20
La seconda a salire sul palco è Golem Mecanique, progetto della francese Karen Jebane: il suo ultimo album, Siamo Tutti in Pericolo, è una dedica a Pier Paolo Pasolini e unisce la voce con i suoni di una ghironda, per una musica folk che si fonde con l’imprevedibilità del noise in un lontanissimo e oscuro orizzonte. Una liturgia oscura minimalista, dove le radici black metal della musicista si intravedono nella cappa di oscurità che si fa a tratti polverosa e ronzante. Le frequenze si affastellano ed i suoni si muovono stratificati in un volume che riempie lo spazio. Il Golem si percepisce in trasparenza, massa al suo servizio, ombra che si staglia e si riempie di suono. La ghironda viene percossa mentre è azionata in una sorta di moto continuo, creando un’aria nella quale la voce, a tratti, viene veicolata dai microfoni e a tratti si percepisce dispersa. Un’esibizione imperfetta, umana, emozionante e toccante, percorso presumibile come inizio e fine nel quale perdersi è insieme terapeutico e definitivo.
Golem Mecanique
Con un ulteriore cambio palco, e l’arrivo di Ciro Vitiello, il mood cambia ancora, assestandosi su un suono vaporoso e umido, di ispirazione orientale. Il suo lavoro di debutto, The Island of Bouncy Memories, ragionava sulla complessità dell’archivio riposto fra le nostre tempie, e il suo suono riesce a guidarci proprio lì senza essere intellettualmente farraginoso ma con un languido e dolce navigare a ritroso. Un’atmosfera in qualche modo magica, a creare uno stato di trance sulla quale si innestano slanci melodici e ritmici in qualche modo scentrati, oscillanti e viscosi. A tratti riesce a trovare un incedere lontano, bizzarro e disturbante, noise a suo modo, che collima con un’idea armonica di fondo, accarezza e coinvolge riportandoci a delle ambientazioni più oscure, tetre e in qualche modo epiche.

Ciro Vitiello
Tempo due secondi e in mezzo alla sala, per lo sparuto pubblico rimasto, Hannah Heartbreak & NIKKO iniziano la loro esibizione armate di sequencer, microfono, computer e mixer. Voci angeliche che vengono fatte volare su suoni cristallini, gonfiati e squarciati da frequenze più basse. Il pubblico torna a stringersi intorno a loro come inizialmente con Chuchchepati, creando una continuità circolare, come un uroboro di suono, musica, rumore... noise. Il suono rimane attestato sulle basse frequenze esplodendo a fiotti, tra frammenti digitali e dub ai quali è stata sottratta la parte ritmica e la continuità, in una sorta di suono fantasma in grado di cullarci con le sue linee vocali.
Hannah Heartbreak & NIKKO
Forse miglior inizio non poteva esserci per un festival ben lungi dall’esaurirsi, nel quale si alterneranno in maniera sorprendente i prossimi artisti in scaletta: Martina Sofie-Wildberger, HMOT, Tapiwa Svosve feat. Richard Scott & Xaver Rüegg, Maria Bertel e Luz Gonzales venerdì, mentre sabato vedrà la luce la residenza artistica targata Röstibrücke fra Natalie Peters e Laure Federiconi, seguita da Vanessà Heer, Caroline Ann Baur & Carmen Oswald, Svetlana Maraš, Marytronics, Valentina Magaletti e Gordan.
Un programma in grado di aprire nuove prospettive a Chiasso, con la delicatezza del noise.

Chiasso means noise
RSI Cultura 20.03.2024, 16:00