Con la sua aria torpida e la fama di “Slowhand” (dicevano che si prendesse tutto il tempo possibile quando accordava la chitarra), Eric Clapton non ha mai avuto un’età precisa; così oggi stupisce scoprire che compie ottant’anni, più di sessanta dei quali passati sotto i riflettori con le sue mitiche chitarre, dalle Gibson usate nel periodo Cream alla Fender Stratocaster che dal 1988 porta il suo nome. Clapton è stato in effetti un talento precocissimo, e nessun dubbio che le imprese migliori le abbia compiute negli anni giovani, dai diciotto ai trenta; il beat incendiario dei primi Yardbirds, la valorosa militanza nei Bluesbreakers di John Mayall e soprattutto il “superblues a 220 volt” dei Cream, quell’instabile, turbolento triangolo musicale con Ginger Baker e Jack Bruce che sconvolse la scena rock sul finire dei ‘60 ma per forza di cose durò poco – tre caratteri in perenne collisione. Gli appassionati dell’epoca stravedevano per lui e qualcuno tracciò su un muro a Londra una scritta passata alla storia,“Clapton is God”; Frank Zappa la fece diventare una barzelletta (si sente Clapton che dice «I see God» tra le righe di We’re Only in It for the Money) ma molti la presero sul serio, elevando il giovane chitarrista in una categoria extraterrestre. Molti, ma non Clapton; che è sempre stato sicuro di sé ma non ha mai fatto lo spocchioso, e quando arrivò Jimi Hendrix lo ammirò sinceramente e si accomodò dietro di lui.
Ci sono stati tanti Eric Clapton nei sessant’anni che abbiamo detto, e molti sono stati dimenticati; almeno un terzo della trentina di album che lo hanno visto protagonista sono finiti nel dimenticatoio e alzi la mano chi ricorda una sua canzone memorabile dell’ultimo decennio. D’altro canto la storia rock è ricca di sue prodezze che ancora brillano a distanza di decenni: album come Disraeli Gears e Wheels of Fire, con i Cream, il progetto “americano” di Derek & The Dominos, dischi da classifica come 461 Ocean Boulevard e Slowhand, il memorabile live giapponese di Just One Night. Chitarrista scintillante ma soft, allievo di B.B. King più che dei chicagoani dalla mano forte, Eric è stato un cantante un po’ troppo tiepido e vago. Lo hanno criticato in molti, lui stesso si è messo in discussione, però alla fine anche come vocalist ha lasciato il segno: basti ricordare il successo di After Midnight e Cocaine (due pezzi di un altro riconosciuto maestro, J.J.Cale), di Lay Down Sally e soprattutto Wonderful Tonight (per l’amata Patti Boyd, ex moglie di George Harrison) e Tears in Heaven, commosso omaggio al figlioletto Conor, avuto dalla showgirl Lori DelSanto, morto in circostanze tragiche a soli quattro anni.
La grande specialità di Clapton è stato il blues, e lì pochi davvero si sono spinti a criticarlo. A ventun anni lasciò gli Yardbirds per la band di John Mayall proprio perché voleva suonare blues appassionato e puro, e centrò subito un capolavoro con Bluesbreakers; poi smise di essere integralista, si concesse avventure diverse ma il blues per tutta la carriera è stato una sorta di rifugio sicuro. Oltre al live giapponese che dicevamo, ci sono almeno tre album che testimoniano con segno forte questa appartenenza: la collaborazione con il leggendario B.B. in Riding with the King, l’omaggio a Robert Johnson di Me and Mr. Johnson e il devoto quaderno di cover di From the Cradle, piccola enciclopedia dei maestri preferiti, da Willie Dixon a Muddy Waters, da Freddy King a Elmore James.
Eric Clapton compie 80 anni (We Are the Champions, Rete Tre)
RSI Cultura 30.03.2025, 09:00
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In gioventù Clapton rischiò di bruciare il suo talento con brutte storie di droga, si riprese per cadere nel vizio dell’alcol ma come un camaleonte è stato capace di passare indenne da tutti quei fuochi. La sua celebre imperturbabilità è sempre stata in fondo un’apparenza; le cronache hanno raccontato di un esagitato Clapton razzista, in scena e sui giornali, e di accese polemiche No Vax di rinforzo al suo amico Van Morrison. Sono seguiti ripensamenti e scuse, e i fans hanno perdonato senza troppa fatica. Difficile considerare Clapton un opinion leader come Bono o Springsteen, più naturale seguirlo sui sentieri della musica; e applaudirlo nelle periodiche cerimonie alla Royal Albert Hall di Londra, diventata nel tempo la sua tana preferita. Dall’esordio con gli Yardbirds nel 1964, Eric si è esibito lì oltre duecento volte, stabilendo nel 1991 anche un record di durata: ventiquattro show consecutivi con tre diverse formazioni - una rock band, una blues band e un’orchestra sinfonica.
LEGATO A “WE ARE THE CHAMPIONS” (RETE TRE) DEL 30.03.2025, ORE 9.10