C’è un sacco di bella musica in giro, a volte pure troppa per poterla trovare ma soprattutto per dedicarle l’ascolto che merita. I tempi sono cambiati, nelle ultime settimane abbiamo parlato di classici intramontabili che, anche se vecchi di mezzo secolo, non perdono lo smalto.
Prendiamo “Maybe Your Baby”, canzone estratta da uno dei dischi che considero tra i più belli di Stevie Wonder, il secondo che pubblicò nel 1972 e il quindicesimo della sua carriera, nata come emulo di zio Ray Charles per poi arrivare a imporsi al mondo come uno dei più grandi compositori e autori del ventesimo secolo.
“Talking Book” contiene capolavori immortali come “You Are The Sunshine of My Life”, “Blame It on the Sun”, “You and I” e “Superstition”. Ma “Maybe Your Baby” l’ho sempre amata alla follia, perché denota come Stevie amasse giocare in studio. Altra indicazione di quello che credo sia il vero senso della vita, quello di lavorare e giocare contemporaneamente, senza saper dire se si stia facendo l’una o l’altra cosa.
I cori di questa canzone sono incisi a varie velocità: per gioco, Stevie ha deciso di catturare alcune voci mentre il nastro che registrava andava più lento e quando poi lo si faceva scorrere a velocità normale, finiva per distorcere la sua voce facendolo sembrare più giovane, più infantile. In alcuni tratti sembra quasi fare il verso al cuginetto Michael Jackson (sì, perché i due erano parenti per parte di madre). Anche se in realtà Michael quei versetti avrebbe iniziato a farli solo qualche anno dopo, visto che nel 1972 stava debuttando come solista omaggiando altri grandi, come si usava all’epoca. Quindi forse quello hee-hee che tanto ha reso famoso Michael è un’invenzione di Stevie, così come il suo shamone era un omaggio agli ad-lib di Mavis Staples nelle versioni dal vivo di “I’ll Take You There”. Ecco, questo secondo fatto è certificato, mentre il primo è solo una mia supposizione.
Cugini di campagna (USA)
Soulovers, Rete Tre 08.12.2024, 21:00
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