Musica Italiana

Domenico Modugno, a uso e consumo delle nuove generazioni

Nel blu dipinto di blu segnò una svolta epocale, oggi evoca tempi ormai passati - A trent’anni dalla morte cosa ancora riesce a dire di sé il cantante pugliese che toccò l’apice nel 1958

  • 22 giugno, 12:49
  • 27 giugno, 08:24
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Di: Patrizio Ruviglioni

La musica leggera italiana, per come la si intende oggi, ha un’epifania precisa, alla fine degli anni sessanta: il boom economico è alle spalle, l’invasione nel mercato dei Beatles s’inventa, di fatto, i giovani come segmento di mercato, così Azzurro di Adriano Celentano (ma scritta da Paolo Conte) e i primi pezzi firmati da Mogol e Lucio Battisti (Emozioni da un lato, Acqua azzurra, acqua chiara dall’altro lato) marchiano a fuoco il pop che sarà per cinquant’anni; anche solo per impatto culturale, le canzoni del futuro manterranno con loro un cordone ombelicale. Ad andare più indietro, si torna al massimo al 1963: l’anticamera di Gino Paoli con Sapore di sale, canzone estiva contemporanea, cantautori che usano parole di tutti i giorni per raccontare storie di tutti i giorni; e fine. Da questo punto di vista Domenico Modugno, che ha toccato l’apice nel 1958 con Nel blu dipinto di blu, con una scia nel decennio successivo e poi solo la grande aura di leggenda vivente, quindi già immobile, è giocoforza un lost in translation, quasi preistoria.

Musicalmente - Domenico Modugno

RSI Musicalmente 07.01.1981, 17:01

È paradossale: Nel blu dipinto di blu è la canzone italiana più eseguita al mondo da quando è uscita, e Modugno nel complesso ha venduto circa settanta milioni di dischi, tanto che qualsiasi italiano ci è legato per motivi d’identità, lo sente suo, di famiglia; eppure, nonostante all’epoca abbia segnato un punto di svolta tra una musica primitiva e quella che sarebbe venuta – per motivi diversi, è un padre della leggera quasi come Paoli – è legato a un’idea vecchia di canzoni, e di paese. Non era un’altra Italia, quella in cui aveva cominciato a muoversi da Polignano a Mare, Bari, dov’era nato nel 1928, per seguire una strada romanzesca di fatica e caparbietà, da pieno dopoguerra; era un altro mondo. L’immagine stessa del paese che avrebbe veicolato all’estero è da cartolina: il bel canto, la melodia, il posto dove batte sempre il sole; l’Italia di La dolce vita, che fa innamorare gli Stati Uniti, gli italoamericani, e non il pubblico di casa. Ritrovare l’Italia di Modugno nella quotidianità di oggi sembra impossibile.

Anche per questo, è difficile costruire un ponte soprattutto con le nuove generazioni, che lo vedono come fondamentale, sì, ma lontano – un ruolo paragonabile a quello di Alessandro Manzoni nella letteratura. Così, per spiegarlo ai ragazzi è uscita questa Come in un sogno di mezza estate, una doppia raccolta di classici pubblicata da Sony per i trent’anni dalla morte. Il lavoro è minimale: al di là di una selezione rigorosa e di alcuni pezzi tradotti in spagnolo, mai pubblicati prima fuori dalla Spagna, l’unica novità è del collettivo di grafici di Ciao! Discoteca Italiana, che ha curato l’artwork (con tanto di poster della copertina) e su Instagram è famoso per delle illustrazioni sviluppate a dai temi e dalle suggestioni delle grandi canzoni italiane del passato. Da anni, infatti, i vecchi cantautori sono tornati in voga sui social (Dalla, Battiato, Rino Gaetano, lo stesso Battisti), sulla scia di un rinnovato interesse per la musica italiana in sé. Ma Modugno, di nuovo, è un’altra cosa, un’altra ancora, al di là del bollino con scritto «a uso e consumo delle nuove generazioni» che campeggia sul disco.

In questo senso, non c’è stato il proverbiale passo più lungo della gamba. Qua e là infatti è successo che canzoni degli anni cinquanta e sessanta venissero recuperate grazie all’algoritmo e a TikTok, tra campionamenti e remix – Quel capello (1963) di Edoardo Vianello è confluita in Finimondo di M¥SS KETA, la sconosciuta Bongo cha cha cha di Caterina Valente si è trasformata in una hit da milioni di stream con l’aiuto dei Goodboys. Ora: contando che una grafica moderna come quella di Come in un sogno di mezza estate può al massimo agevolare il racconto di un disco, ma non invertirne il senso, qui si è puntato sulla musica in purezza, al massimo lavorando sui fianchi dell’immagine di Modugno stesso, tipo con un’intervista alla vedova, Franca Gandolfi, del Corriere della Sera, che ha raccontato aspetti privati della sua vita da rockstar (ma tutte le storie di chi all’epoca faceva mestieri del genere sono mediamente più spericolate di come ci si immagina oggi). Per non parlare dell’impegno politico con i Verdi e, prima, con i Radicali: sarebbero avanguardia, ma si è preferito, comunque, non spingerci su.

Spazio alle canzoni allora, protette dalle dinamiche usa e getta dei social, convinti che meriti di meglio. È risentendole che viene fuori un’attualità nuova, che c’è sempre stata, evidentemente, ma non è mai stata percepita, tramandata. Al di là di quelle intuizioni di ritmo e melodia poi alla base della musica leggera, una Vecchio frac – del 1955, sua prima canzone in italiano dopo gli inizi in dialetto – suona ovviamente distante nel tempo, ma si fa notare più per le parole che per il bel canto: racconta il suicidio di un uomo attraverso immagini e giochi a nascondino che la rendono dolce, fiabesca; le stesse coordinate su cui, da lì in poi, si sarebbe mosso quasi tutto il pop italiano di classe, anche a livello di stile. Basta prendere, tra le tante, anche Alice di De Gregori. O la stessa La lontananza, ultimo successo della carriera, datata 1970, che con i suoi fuochi che si accendono e si spengono da lontano descrive meglio di tanti pezzi d’amore di oggi le relazioni a distanza, che i social hanno perfino accentuato rispetto all’epoca. Insomma, più che un eterno ritorno, certi pezzi nascondono delle profezie: forse non è che Modugno avesse smesso di parlare al futuro; doveva, semmai, ancora cominciare.

Fracesca Guadagno

Con circuiti di mille valvole 15.05.2024, 19:00

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