Da qualche settimana ha aperto Radio Squallor, una web radio dedicata allo storico complesso di musica demenziale italiano, con qualche programma originale e ampio spazio per le canzoni – l’idea è di Attilio Pace, figlio di uno dei membri del gruppo, Daniele. Viene da pensare a un ritorno al mondo delle radio libere, che negli anni Settanta avevano sdoganato uno spirito più libertario, iconoclasta e goliardico – tre aggettivi che con loro calzano bene – nel paese specie tra i giovani, cambiandone per sempre i costumi. Vasco Rossi, tra gli altri, si era formato lì. Ma la verità è che la band era ancora precedente a quell’ondata: il primo singolo, 38 luglio, un programma già dal titolo, risale al 1971, una collocazione che li rende di fatto a-storici, fuori da qualsiasi moda, corrente, velleità artistica. Scandalosi, ecco, per i parametri e la sensibilità di oggi e quelli di ieri. Ed è qui il segreto della loro forza e della longevità.
Gli Squallor
Babylon’s burning 17.02.2025, 19:35
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Semmai, allora, il ritorno in radio tiene fede all’essere stati, questo sì, un’entità immanente fino alla fine, avvenuta nel 1994, per dispersione di tracce. Una sorta di gruppo fantasma: nessun concerto o apparizione tv, pochi passaggi in radio, ma lo stesso un culto diffuso tra migliaia di persone. Questa dimensione astratta – oltre che fondamentale per alimentarne mito e popolarità – era dovuta alla natura dei componenti: gli Squallor erano uno sfogo, un divertimento carbonaro, già per loro stessi. I nomi erano di altissimo livello: Totò Savio come voce portante, che darà l’impronta napoletana alla maggior parte dei pezzi, ma di per sé firma di classici come Cuore matto, Se bruciasse la città e Maledetta primavera; Giancarlo Bigazzi, produttore di Raf, Umberto Tozzi e Marco Masini; Alfredo Cerruti, autore tv di cult come Indietro tutta! di Renzo Arbore; e Daniele Pace, già dietro brani come E la luna bussò e Nessuno mi può giudicare. Quattro esperti dell’industria, insomma, che producevano hit e la notte si sfogavano dissacrando i cantanti stessi, smontando i meccanismi del sistema con cui lavoravano.
Perché gli Squallor questo furono: la parodia di una band in tutti i sensi, pura dissacrazione a scopo goliardico, in anticipo su ogni forma di musica demenziale più o meno intelligente, dagli Skiantos (la cui sfrontata stupidità, nell’impronta dadaista, sarà comunque influenzata dal punk) agli Elio e le Storie Tese, la cui padronanza tecnica e monumentalità di certe canzoni mal si sposa all’assenza di pretese di questi quattro. Viva decadenza. Con l’obiettivo, semplice, di raccontare lo squallore che ci circonda, cercando di sguazzarci dentro, con umorismo. Facile a dirsi, ma ci voleva coraggio.
Perché ciò significava prendere la forma canzone dai colleghi con cui lavoravano (che avrebbero definito «i peggiori scassaca**i») e distruggerla, con composizioni per lo più parlate, ispirate agli scherzi telefonici, con dentro turpiloquio, rutti, oscenità varie, espressioni triviali. E ovviamente sesso, tanto sesso, per lo più mal riuscito. Tutti elementi che nessuno, allora, si sarebbe aspettato di trovare in disco, o addirittura di pensare. Il peggio che alberga in ciascuno di noi, ecco. Ma sempre letto con la chiave dell’ironia e della goliardia: se vari gruppi hardcore successivi, in primis gli statunitensi, hanno cercato di disgustare l’ascoltatore, di provocarlo, qui il tono è sempre stato “accogliente”, per il solo fatto che l’invito, neanche sotteso, era di sguazzarci tutti insieme, nello squallore.
Quanto in basso si può scendere? Tanto, e bene. Infatti tutto questo li trasformò, già alla fine degli anni Settanta, in un culto per appassionati smaliziati di musica, in cerca di qualcosa di estremo, e agli antipodi per chi di suo era avvezzo a certe trivialità – il giudizio sull’ascoltatore, s’intende, era ovviamente sospeso, ma una trasversalità del genere resta rara per l’Italia. L’arma di promozione fu il passaparola, con una serie infinita di cassette pirata che riprendevano quegli album così poco venduti e pubblicizzati sui canali ufficiali eppure, a conti fatti, parecchio chiacchierati. Ciascuno dei 14 che hanno prodotto era a doppio senso: il primo Troia (1973), ma è il cavallo di Troia; Pompa (1977), sì, quella di benzina; Tromba (1980), lo strumento a fiato.
Di lì a poco il sottobosco diventerà talmente vasto da portarli, grazie anche ai buoni uffici dei membri, sempre professionisti stimati, in una major, la Ricordi, che produrrà Arrapaho (1983), con al seguito il film simil-western omonimo che sarà un successo al botteghino, ma in cui rinunceranno a parte della causticità in favore di telecamera. Lì c’è, tra le varie, l’inno ‘O tiempo se ne va, ma è una prova incolore rispetto alle varie Cornutone, Vafanc*lo con chi vuo’ tu, Ti ho conosciuto in un clubs, Berta e Mi ha rovinato il ‘68, dove il protagonista in questione tocca il fondo e porta con sé la società italiana tutta, dimostrando quanto gli Squallor fossero uno scandalo inintegrabile. E lo sono ancora.
Paradossalmente, la loro parabola si è conclusa nel 1994, in un momento di grande esposizione della musica demenziale italiana, che però con gruppi come Latte e i suoi derivati, i Pitura Freska e gli stessi Elio e le Storie Tese aveva maturato ambizioni più grandi delle loro, squisitamente lidiche. Proprio gli Elii, però, sono anche gli unici a essere sopravvissuti tutt’ora, in virtù della tecnica e un successo commerciale enorme. Gli altri hanno ceduto il passo insieme alla demenziale tutta, a parte l’album Innamorati della vita del comico Valerio Lundini con I Vazzanikki, della scorsa estate. È una crisi strutturale: da un lato l’industria è diventata seriosa, c’è meno disposizione a farsi prendere in giro e il resto; dall’altro, i gruppi non hanno sfruttato le nuove piattaforme – come invece gli stand-up comedian – soffrendo la mancanza dei locali, di un circuito underground che è stato la base del genere tutto e il fatto che oggi la comicità, sui social, viaggia al tempo di un meme (milioni di meme), che ciascuno può realizzare da sé. Non c’è più spazio, ecco, per delle canzoni. Ma forse gli Squallor, con quell’essere così fuori dal tempo, potrebbe farcela.
Demenziale
Paganini 16.02.2025, 10:25