Musica d’autore

Gli ottant’anni di Chico Buarque de Hollanda, “il più grande di tutti”

Il cantautore brasiliano è ormai entrato nel mito - Il segreto della musicalità nell’utilizzo unico e poetico della lingua portoghese

  • 18 giugno, 12:05
  • 19 giugno, 21:35
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Di: Gian Luca Verga 

“Mio padre era Paulista, mio nonno Pernambucano, il mio bisnonno minatore, il mio trisavolo Bahiano, il mio maestro supremo è stato Antonio Brasileiro, sono in cammino da molti anni, sono un artista brasiliano”

Queste le parole che Chico Buarque de Hollanda scrive e canta in “Paratodos”, brano del 1993, una tra le centinaia di canzoni che ne hanno edificato il mito consegnandolo alla storia della musica e della cultura brasiliana. La canzone è sostanzialmente un omaggio al Brasile, alla diversità culturale e musicale del paese, a quella ricchezza che deriva dalla somma delle differenze. E che lui stesso esalta sia ripercorrendo la sua genealogia, quanto quella di altri mostri sacri che hanno arricchito il patrimonio artistico della terra forse più musicale del pianeta.

E il Brasile ha sempre ricambiato questo amore. Stimandolo, inondandolo di affetto e immutabili considerazioni. E sono sentimenti granitici. In molto sostengono che nessun artista, tranne Vinicius de Moraes è riuscito a manifestare così inequivocabile quel sentimento definito da una parola intraducibile: “saudade”. Per Antonio Jobim (l’Antonio brasileiro”, padre della bossa nova) Chico è quanto di più brasiliano esista in termini musicali. Non fosse per l’utilizzo unico e poetico della lingua portoghese, un utilizzo in cui risiede il segreto anche della sua musicalità. La qualità poetica dei suoi testi, le scelte delle parole unitamente a una sorta di ossessione formale offrono spesso la stura a una danza vertiginosa di simmetrie testuali, assonanze, allitterazioni e rime di ogni genere;  e questo senza mai forzare la musica che sembra nascere e fluire con naturalezza. L’esempio più alto è “Construçao” uno dei capolavori di Chico che nel 2009 fu premiato quale miglior canzone brasiliana di tutti i tempi da un colossale sondaggio proposto dalla edizione brasiliana della rivista Rolling Stone. I lettori votarono in massa e la canzone a trionfare fu proprio questo brano di Chico del 1971, l’anno del suo ritorno dall’esilio. È un capolavoro musicale e letterario arrangiato attorno a due accordi. Una canzone in forma di mantra o di preghiera su un “episodio” di tutti i giorni, un incidente sul lavoro di un comune operaio che perde la vita. Nessuna veemenza o passionalità nella canzone di Chico, il focus è sull’uomo e il suo mondo, un individuo con tutta la vita dietro di sé.

Una facilità di scrittura e un talento che il giovane Chico, cresciuto in una famiglia di intellettuali, dunque in un ambiente stimolante, manifesta e cesella sin da ragazzo. La musica certo, ma anche la scrittura. Pubblica racconti, libri nell’età adulta, scrive canzoni ed è innamorato della bossa nova e dei suoi padri fondatori, la sacra triade Jobim-De Moraes- Gilberto. Come loro Chico è un poeta della canzone. Scrive canzoni che davvero appartengono a tutti, che scolpiscono la storia della musica brasiliana; capolavori assoluti per qualità artistica, suonati e interpretati nel mondo intero: tra le più struggenti e sublimi la celebre e straordinaria “Que serà (A flor a terra) “composta per la colonna sonora del film “Dona Flor”, trasposizione cinematografica realizzata nel 1976 dal regista Bruno Barreto del celeberrimo romanzo di Jorge Amado. Anzi sono tre le versioni che Chico scrive per il film. Questa la più celebre, tradotta in italiano da Ivano Fossati. Sublime non solo perché declina gli afflati puri e platonici del sentimento con la carnalità dell’amore stesso. Chico vanta la capacità innata di offrire diverse letture alle sue canzoni, di favorire interpretazioni più profonde che toccano tematiche sociali, politiche, culturali del suo paese. Come suggerisce la sua prima celebre canzone, anch’ essa cantata nel mondo intero: “A banda” che gli permette di vincere nel 1966 il “Festival da Musica Popular Brasileira” e aprire le ali per spiccare il volo quale cantautore. Gioca sui contrasti Chico: una musicalità giocosa gli permette di raccontare la disperazione della società civile sotto la dittatura. E dunque la tristezza, la paura la solitudine della gente; ma è sufficiente il passaggio di una banda di paese “cantando coisas de amor” perché la speranza torna ad infiammare gli animi. 

Bello, carismatico, fascino da vendere, depositario di una poetica colta Chico Buarque De Hollanda è costretto a operare in un momento storico difficile. I militari salgono al potere nel ‘64 e Chico insofferente verso il clima plumbeo che la dittatura impone, tarpando sempre più la libertà d’espressione degli artisti, scrive certo, partecipa alla vita civile e culturale del paese pubblicando canzoni epocali quale argine o strumento critico nei confronti della deriva politica. Oltre a “A banda” anche “Roda Viva” o “Calìce” tra le molte, in cui esprime con maestria e densità di significato la mostruosità della dittatura. Che lo bracca e lo censura al punto che Chico si auto esilia a Roma, città in cui aveva già vissuto in gioventù con la famiglia senza smetter di combattere l’oppressione con le armi a lui più congeniali: la parola, la musica, la forma canzone. In Italia strinse amicizia con molti intellettuali e artisti, tra i quali Lucio Dalla di cui incise “Minha Historia”, versione in portoghese di “4 marzo 1943”. E Dalla, anni dopo, prese spunto da una sua composizione, “Meu caro amigo”, per scrivere “L’anno che verrà”.

Da Roma a Parigi e poi il ritorno in patria, nel 1970. Forte del suo status Chico non smette di scriver canzoni di protesa, di alzare la voce, di partecipare al dibattito sociale politico, di scrivere e partecipare a spettacoli. Anche sotto pseudonimo per non rimaner imbrigliato nelle maglie della censura. Utilizza metafore, allegorie, è un grande poeta, sa dipingere con le parole gli anni duri della dittatura così come rendere immagini romantiche e profonde. È un maestro nell’uso delle parole ma non sempre il gioco gli riesce.

Qualche esempio dei molti che lo vedono protagonista: nel 1973 fu vietata la registrazione e l’esecuzione della canzone “Calìce”. Gilberto Gil, sfidando la censura la canta nell’ambito di uno show realizzato nella Politecnica, in omaggio allo studente assassinato dalla dittatura. Durante lo stesso anno, venne organizzato l’evento “Phono 73” promosso dalla casa discografica Polygram;  Chico e Gilberto Gil subirono il sabotaggio dei microfoni proprio durante l’esecuzione di “Calìce” con parapiglia finale.
Nel 1974 la censura decise di vietare a Chico qualunque registrazione di sé stesso. L’artista allora licenziò “Sinal Fechado, disco contenente composizioni di altri autori. Costretto dalle tante limitazioni, Buarque adottò lo pseudonimo di Julinho de Adelaide e Leonel Paiva per firmare canzoni contro la dittatura. Nel frattempo, la sua “Sabia”, scritta a 4 mani con Jobim, divenne l’inno dei brasiliani esiliati all’estero.  Mentre “Tanto Mar”, una composizione omaggio alla “Rivoluzione dei garofani” portoghese fu censurata in quanto evento ed espressione del socialismo. 

Di offese, boicottaggi e censure Chico ne colleziona a bizzeffe negli anni bui del Brasile, sia per le aspre critiche al regime che per l’impiego di un linguaggio spesso considerato offensivo per la morale dell’epoca, anche per le allusioni all’amore carnale che potevano inquietare i benpensanti. Ma la sua fama e il suo status crescono. Musica, cinema, teatro, televisione,  pubblicazioni editoriali negli anni sono gli ambiti in cui si manifesta la sua creatività, il suo talento cristallino, la sua genialità. Capace di incrociare il presente e il futuro di una nazione, di interpretare quello spirito, e quel  “genius loci” davvero  unico nelle sue mille declinazioni razziali, sociali e paesaggistiche. Hanno scritto che i Brasiliani lo amano indistintamente “da nord a sud, dall’interior fino alla costa, che abbiamo il portafoglio a secco o con il conto in banca traboccante, uomini e donne, giovani e meno giovani, neri, bianchi, mulatti, che abitino nelle favelas  o negli attici di San Paolo  l’attico. Chico è stato in tutti questi anni la loro voce, l’interprete di paure, sogni e speranze di una nazione e  la colonna sonora di tante vite.
 
 

Alla ricerca del tempo perduto

Mixtape 05.06.2023, 07:20

  • Courtesy: Raissa Avilés

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