Chiudete gli occhi, contate fino a 26 e pensate al nome di un’arpista.
Ora aprite gli occhi. Nulla? E se vi dicessi Kety Fusco?
Pisana, ma ormai svizzero italiana d’adozione, esordiente con Dazed nel 2020, al quale è seguito THE HARP, Chapter 1 nel 2023: dischi (e relative esibizioni dal vivo) dove il suono dell’arpa lasciava l’accademia e la storia cercando una propria via personale, contemporanea. Conosco Kety Fusco da anni ed è sempre bello seguirne i passi nel mondo, a tracciare rotte su una cartina immaginaria, convinta come poche, in una carriera impervia, quella di arpista open minded pur rimanendo legata all’immaginario pop, semplice, fruibile, senza mai agire secondo soluzioni di comodo.
La conosco per essere in grado di calcare il palco di Sanremo così come quello di un centro diurno del Luganese dove l’ho conosciuta, di approcciarsi a musicisti come Lubomyr Melnyk, Mike Cooper e Danilo Ligato nei festival da lei organizzati così come a Joan Thiele e Frah Quintale, fra dischi ed esibizioni. Con gli ultimi due artisti citati, nella serata cover della più recente kermesse, le sono bastati i primi cinque secondi di video per dare il via con la sua arpa a una magica Che cosa c’è di Gino Paoli.
La conosco per averla vista più volte dal vivo, per averla intervistata e per aver cercato di descriverne i movimenti su disco, negli ultimi sei anni. Ma, devo dire, non mi aspettavo un soffio simile dal suo ultimo singolo, Blow. Primo vagito di un album, Bohème, che uscirà a giugno per una delle più rinomate case discografiche elvetiche, quella A Tree in a Field che nella storia ha foraggiato e fatto crescere talenti come Fai Baba, Combineharvester, Papiro, Mir, Dimensione e Asbest. Vagito che di fatto spezza e manda a capo una storia.
Già, perchè cos’è Blow in realtà? È un brano sperimentale, pop e trasversale, innovativo pur avendo dentro di sé moltissimi agganci con il passato.
È un brano che si può ballare, fino allo sfinimento, allo sfascio, seguendo e aspettando i suoi crescendo di beat con mosse che, a prima vista, sarebbero più adeguate a un brano trap o a certe follie sulla pista da ballo. Ma è anche un brano che affonda le sue radici in un passato musicale che gioca sul crinale fra musica epica, classica ed elettronica, per come riesce ad amplificare ambienti non dissimili da alcune gloriose cavalcate di Vangelis oppure da alcuni scorci di quel folle Rondò Veneziano di Gian Piero Reverberi. È anche il momento dove, in maniera sobriamente pop, Kety Fusco ci regala la sua voce, in tre distinti momenti lungo il corso del brano: in due di essi si limita a soffiare un conteggio («1, 2, 3, 4»), poi c’è spazio per ansimi, sospiri, respiri. Un’eterea presenza che non viene né svelata né dissimulata a parole ma si percepisce quasi per un bisogno, trascinato dalla verve del disco.
Blow inizia su un certo numero di BPM e a un certo punto, in qualche modo, non sappiamo come, si allinea con il nostro cuore. Iniziamo ad andare all’unisono, in una sorta di defaticamento dopo un momento di tensione, di fuga, di spavento.
E allora è veramente difficile capire come si potrà muovere Kety Fusco nel prosieguo della propria carriera, ma siamo certi che continuerà a cercare un equilibrio fra ricercatezza, personalità e semplicità d’ascolto. Se i risultati saranno questi ho idea che potrà guadagnarsi molti altri ascoltatori.
Blow (e Bohème) sono stati realizzati in collaborazione con Nicolas Rabaeus, musicista ginevrino pluripremiato come compositore di colonne sonore (dopo il premio del cinema svizzero nel 2023 si è ritrovato candidato per tre differenti lavori nel 2024) e forse questo ha portato Kety Fusco a intrigarsi per un altro tipo di espressione, quella cinematografica, affidandosi allo Studio Asparagus di Mendrisio (Francesca Reverdito, Riccardo Bernasconi e Giacomo Frittelli, già autori del lungometraggio Papaya 69 nel 2023). Il video, da loro girato nelle Gole della Breggia, ci presenta due donne e un uomo durante un’escursione, ma fin dal principio capiamo che qualcosa non sta andando per il verso giusto, pur tra i sorrisi. Un quarto amico esce dal bosco con la maschera da hockey resa nota da Jason Voorhees nei Venerdì 13 di John Carpenter ma è solo una burla. Nella notte si ciondola fra marshmallow al fuoco e i colpi all’arpa di una Kety Fusco sempre più invasata, mentre una copula sembra essere fautrice di energie negative. Al mattino i quattro ragazzi giacciono defunti, inermi al suolo, ma quando la telecamera si avvicina agli occhi di Kety Fusco ci sorprendiamo nel vederli riaprirsi.
L’oscurità, gli stati di coscienza alterata, la trance che spesso sorprende i musicisti intenti nel cavare suono da uno strumento, un soffio misterioso. Non sappiamo cos’abbia provocato tutto questo ma di certo ogni rintocco di Blow ora ci sembra più oscuro e teso quasi possa succedere di tutto e quei gemiti potrebbero svelare un vago sadismo nella figura interpretata da Kety Fusco. Di certo la capacità con la quale si trasforma è uno dei suoi punti forti: può essere accompagnatrice o comprimaria, può stare dietro le quinte e far passare la propria visione artistica, può sperimentare e inventare.
Da ora, con Blow, potrà essere fischiettata e ballata. Per il canto vero e proprio forse ci sarà da aspettare e forse non arrverà mai ma perché smettere di immaginare nuovi campi di applicazione del suo talento? Basta fare le cose con calma e in maniera ordinata: 1, 2, 3, 4 e via!
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Local Heroes 22.02.2025, 15:00
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