Tra primavera ed estate, solo in Italia, sono in programma i tour di reunion di tre band molto amate della musica alternativa, come gli Afterhours, Il Teatro degli Orrori e gli Offlaga Disco Pax. Il loro ritorno segue quello a lungo invocato – e sfociato nel mito, proprio perché considerato irrealizzabile – dei padri nobili del genere, i CCCP, in concerto nel 2024 e di nuovo nel 2025, dopo essersi sciolti nel 1990 e poi reincarnati nei C.S.I.. Ma la scorsa estate aveva segnato anche la ripresa lampo delle attività di due gruppi fondamentali del rap italiano, i Club Dogo da Milano e i Co’Sang da Napoli, che intorno al 2006 avevano contribuito a riportare l’hip hop nel mainstream dopo una sorta di età di mezzo, entrando a posteriori nella leggenda. Ancora, subito dopo la fine del lockdown, il revival aveva investito il pop anni Novanta, da Paola & Chiara agli Articolo 31. Lo stesso Max Pezzali, pur non recuperando davvero il marchio 883, dal 2021 fa live con in scaletta solo canzoni dell’epoca, arrivando a riempire gli stadi. Perché questa tendenza? E perché proprio adesso?
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Il ritorno del Teatro degli Orrori
RSI Cultura 17.02.2025, 20:00
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Intanto, ovviamente, tutto il mondo è paese. Basti pensare che uno dei fatti più rilevanti in assoluto dello stesso 2024 è stata la reunion degli Oasis, con i fratelli Gallagher che la prossima estate si esibiranno in una serie di show milionari – e non sono da escludersi altre sorprese. Tra l’altro, come a rievocare i fasti del Britpop, anche la band considerata loro “rivale”, i Blur di Damon Albarn, nel 2023 era uscita dal limbo in cui si era chiusa – era ferma dal 2015, pur non parlando mai esplicitamente di scioglimento – per un altro tour mondiale, con tanto di due concerti nello Stadio di Wembley, a Londra. Il tutto è stato accompagnato da un nuovo album, The ballad of Darren, al contrario dei Gallagher che non sembrano interessati a pubblicare inediti. Ma l’eccezione sono i Blur.
La realtà è che, nel mercato attuale, una reunion di gruppi entrati nella storia o di culto conviene, a patto di consumarsi per lo più dal vivo e, al massimo, nella ristampa in vinile del repertorio. Così, infatti, uno sforzo creativo minimo corrisponde una resa – economica, d’immagine – elevata. Perché gli inediti, dal canto loro, non servono. Lo dimostrano i fatti. Nessuno dei gruppi alternative italiani, per esempio, ha pubblicato nuovo materiale: Afterhours e Offlaga Disco Pax saranno in tour per il ventennale di due dischi storici, rispettivamente Ballate per piccole iene e Socialismo tascabile; Il Teatro degli Orrori addirittura non ha messo in conto nessuna occasione particolare, parlando semplicemente di voglia di rivedersi e di una buona offerta da parte dall’agenzia che li ha scritturati. Stessa storia, pur con tutta l’epica del caso, anche per i CCCP.
Questa dinamica è confermata anche da chi ha effettivamente pubblicato dei nuovi album: nessuno di questi, a livello commerciale, ha riscosso granché successo, a fronte invece di un’attività dal vivo soddisfacente. Gli unici a essere arrivati al disco di platino sono i Club Dogo con l’album omonimo, un risultato comunque modesto se paragonato a quelli di Guè solista e soprattutto a quelli dal vivo del gruppo, con dieci concerti sold out al Forum di Assago e addirittura uno allo Stadio di San Siro, sempre a Milano.
Il senso è chiaro: il pubblico non ha necessariamente voglia di sentire nuove canzoni – tantomeno un album, oggi che è un formato superato e bistrattato dalle piattaforme di streaming – ma di cantare in concerto, semmai, le canzoni di un tempo. Il piatto, di conseguenza, è ricco e invitante, alimentato dal fatto che, negli ultimi anni, l’industria della musica dal vivo è cresciuta a dismisura, con cachet sempre più alti – gli artisti, di fatto, guadagnano con quelli – e concerti affollati, con una grande smania di “esserci” e di “sold out” impensabile prima della pandemia. E questo, di base, rende la reunion un’occasione a “costo zero” (non c’è da registrare nuovo materiale) per inserire un gruppo vecchio, che magari alla sua epoca non faceva questi numeri live semplicemente perché il circuito era più ridotto, in un panorama più ricco di com’era allora. Un’operazione, insomma, win-win: si tratta solo di rispolverare un brand. Un brand che, s’intende, nel frattempo ha preso valore.
Certo, la condizione fondamentale è che ci sia un pubblico disposto a comprare biglietti per sostenere queste reunion. Ma anche qui la congiuntura è favorevole, specie in Italia, per motivi anagrafici e di mercato. Di fatto, pur nella loro inattività, tante band di venti o trent’anni fa si sono “conservate bene”: mai come adesso, in Italia, c’è un interesse così forte per la musica italiana stessa, il che ha fatto in modo che gli artisti di epoche precedenti – in cui invece sulla musica italiana c’era quasi un pregiudizio negativo – venissero riscoperti e rivalutati dagli ascoltatori, specie quelli della generazione zeta, che non li avevano vissuti. La svolta “nostalgica” dei pezzi dell’ultimo Festival Sanremo è qui a testimoniare. Dall’altro lato, la nostalgia è certo preponderante se si parla di millennial e oltre, in cerca di riferimenti negli idoli della loro adolescenza – in radio e nelle classifiche, dal 2020 in poi, c’è stato un forte ricambio generazionale – e con un potere d’acquisto ovviamente rinnovato. Per cui, ecco, a una band italiana nel 2025 conviene, eccome, fare una reunion: purché abbia davvero poco di nuovo da dire.