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La deriva sonora di Arthur Hnatek

Di formazione jazz, nell’album “Adrift” il musicista ginevrino dà libero sfogo al suo estro compositivo contaminando l’elettronica danzabile con l’improvvisazione

  • 11 novembre, 15:00
30:05

Arthur Hnatek - Adrift

Confederation Music 10.11.2024, 20:30

  • Maria Jarzyna
Di: Marco Kohler/Red. 

“Ho dedicato gran parte della mia vita agli a progetti altrui in veste di batterista, ma ho sempre desiderato pubblicare la mia musica”. E alla fine ce l’ha fatta, Arthur Hnatek, che debutta sulla lunga distanza con “Adrift”. Laureato alla New School for Jazz di New York, ha affiancato, per citarne due, il pianista Tigran Hamasyan e il quartetto Erik Truffaz. Già da qualche anno stava esplorando i confini fra improvvisazione jazz e musica elettronica, viaggio iniziato con SWIMS e che ora è diventato fonte principale del suo lavoro, grazie all’incontro con Andreas Ryser di Mouthwatering Records.

“Adrift” prosegue lungo la strada intrapresa ma, come dice il titolo, lo fa andando alla deriva, artisticamente parlando. “Ho sempre l’impressione che sia la musica a decidere per me. Come musicista sono ciò che la musica ha fatto di me. Non è che un giorno mi sono svegliato e ho deciso di fare musica elettronica”. Così, con il passare degli anni, Hnatek ha scoperto che la corrente lo aveva spinto in un luogo diverso da quello di partenza. Abbandonarsi alle forze creative è qualcosa di fisico per lui: quando sente che deve fare qualcosa di nuovo, non può fare a meno di svilupparlo.

Il processo compositivo del disco lo ha condotto in montagna, a Chandolin, in pieno inverno. La località vallesana dà anche il titolo a uno dei brani in scaletta, “Chando”. Un bisogno di stare per conto proprio che è radicato in Hnatek ed è diventato elemento fondante del suo rapporto con le sette note. “Ero un bambino piuttosto solitario, una caratteristica che probabilmente ha favorito il mio legame con la musica e l’esercizio dello strumento”. Se la scrittura dei pezzi avviene in condizione eremitica, la produzione viene invece affrontata nell’ambiente più controllato (così lo definisce lui) del suo studio zurighese.

La nuova direzione imboccata porta Hnatek a esibirsi dal vivo da solo, sperimentando così un’altra forma di solitudine. “Come batterista ero abituato alla condivisione. Iniziando questo progetto solista, invece, mi sono dovuto adattare al pubblico, ho dovuto imparare ad ascoltarlo e a capire se sta apprezzando. Servono spontaneità e flessibilità”. Più simili a dj set, i concerti si trasformano in sedute di meditazione, in cui ci si concentra su ciò che si sta facendo lasciando da parte gli altri pensieri. Questa nuova dimensione non gli ha fatto perdere di vista l’Improvvisazione e il piacere di suonare con altri musicisti, corde sempre in grado di farlo vibrare. Arthur Hnatek continua a rinnovarsi, senza una meta, ispirato dal continuo andare alla deriva.

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