Musica rock

Le scariche di rudezza del primo disco degli AC/DC

50 anni fa usciva in Australia “High Voltage”, debutto della leggendaria band hard rock guidata dai fratelli Young. Album testimone dei loro tumultuosi inizi

  • 17 febbraio, 10:58
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  • Imago/Dreamstime
Di: Michele Serra 

Ah, gli anni Settanta in Australia.

Tempi in cui tutti gli uomini di quel paese sembravano impegnati nell’affermare la propria virilità, facendo a pugni, ma anche – fortunatamente – conducendo folli progetti artistici: pensate al cinema della cosiddetta Ozploitation, che sarebbe stato sublimato da George Miller nella saga di Mad Max, o da Peter Weir che prima di diventare quello dell’attimo fuggente produceva perle come Le macchine che distrussero Parigi (non è la capitale francese, ma il titolo dice lo stesso molto di questa folle commedia horror). Oppure alla musica, che in quel decennio avrebbe prodotto la band più impresentabilmente rock della storia del genere. Gli AC/DC non saranno infatti il gruppo più rivoluzionario o più influente mai visto, ma sono quelli che dichiarano candidamente: «Tutte le canzoni che facciamo parlano fondamentalmente di una di queste tre cose: alcol, sesso, rock‘n’roll». Per i testi profondi, la sensibilità e, beh, l’arte, prego rivolgersi altrove («Andate ad ascoltare gli R.E.M.», diceva Malcolm Young negli anni Novanta). Una poetica che non si può che amare, e che è stata presentata al mondo esattamente mezzo secolo fa, a metà del febbraio 1975, con un disco che aveva in copertina il disegno di un cane che urinava su una centralina elettrica. Nell’angolo opposto, un paio di lattina di birra schiacciate. Pare che l’autore, Paul Power, si sentì dire dai produttori della EMI di Sidney qualcosa tipo «Non puoi avere un cane che piscia sulla copertina di un album! È disgustoso!», ma poi l’entusiasmo della band ebbe il sopravvento su dubbi dell’etichetta. In fondo, l’ho già detto, non era la cosa più strana e sconveniente prodotta dalla cultura australiana in quel periodo. E poi l’immaginario della band era proprio quello: selvaggio, sudato, alcolico.

Il concerto di lancio di High Voltage, primo album della carriera degli AC/DC, si tenne all’Hard Rock Café di Melbourne il 19 febbraio. Non era il franchising globale multimilionario che avremmo imparato a conoscere (e spesso, a evitare), ma l’imitazione australiana di quello che era ai tempi solo un noto locale londinese. E, beh, ovviamente ospitava concerti rock.
Quell’Hard Rock Café era gestito tra gli altri da Michael Browning, che poi sarebbe diventato uno dei più importanti manager della musica australiana. Browning aveva incontrato gli AC/DC solo pochi mesi prima, nel suo locale. Era rimasto immediatamente impressionato dalla potenza musicale e dalla sfrontatezza di quei ventenni, guidati da due fratelli di origine scozzese. Malcolm e Angus Young erano nati in effetti venti e ventidue anni prima a Glasgow, figli di un postino e di una casalinga. Quando avevano dieci e otto anni, l’inverno del 1963 – uno dei peggiori mai registrati in Scozia, con due metri e mezzo di neve – convinse la famiglia ad accettare gli incentivi per trasferirsi in Australia, dove nel 1973 i due fratelli fondarono la band chiamata come gli acronimi di corrente alternata e continua, chiaro riferimento al loro sound inequivocabilmente elettrico. 

Alla fine del 1974 gli AC/DC avevano trovato finalmente un primo, precario equilibrio: dopo aver provato diversi costumi (tra i quali quello di Zorro e di Superman), il giovane Angus si era deciso a usare l’uniforme scolastica che sarebbe diventata la sua divisa sul palco, per sottolineare ironicamente la sua giovane età; soprattutto però, la band aveva licenziato il cantante Dave Evans e reclutato Bon Scott, anche lui emigrato scozzese ed ex-cantante della band pop The Valentines, che aveva ottenuto un certo successo nella seconda metà degli anni Sessanta. Nel novembre 1974 gli AC/DC si separarono dal loro primo manager Dennis Laughlin e ingaggiarono Michael Browning. E così, torniamo al primo album e al già citato concerto di lancio all’Hard Rock Café.

L’ingresso costava un dollaro, e il genere musicale aveva attirato un pubblico composto in maggioranza di Sharpies, membri di una sottocultura giovanile urbana che ruotava intorno alle risse e a uno stile che prevedeva jeans, bretelle e stivali, simile agli skinhead inglesi. Pare che gli AC/DC avessero già avuto scaramucce con alcune gang di Sharpies, e fossero riusciti perfino a vincere gli scontri: i ragazzi scozzesi non si tiravano mai indietro, se c’era da menare le mani. Il loro primo successo, insomma, non fu esattamente musicale: i fratelli Young e compagni si erano guadagnati il rispetto del loro popolo alla vecchia maniera. (L’Australia dei Settanta, che tempi!)

Bon Scott aveva completato perfettamente quel club di maschi alfa: per il suo primo concerto con la nuova band, raccontano le leggende, non aveva provato neanche una canzone, limitandosi a scolarsi due bottiglie di bourbon con contorno di cocaina e speed. Poco sorprendentemente, quella sera la sua energia aveva conquistato il pubblico. 

L’attitudine di Bon, di quasi dieci anni più vecchio dei fratelli Young, fece fare un vero salto di qualità alla band, convincendo tutti che la strada dell’hard rock era quella giusta. Col senno di poi, non si sbaglia molto nel dire che Scott ha, in qualche modo, plasmato il carattere e lo stile degli AC/DC più di ogni altro. Purtroppo, non sarebbe vissuto abbastanza per vedere il suo più grande successo: sarebbe morto nel 1980 per un’intossicazione acuta da alcol, da solo, nell’auto di un amico nella notte di Londra, cinque mesi prima dell’uscita di Back in Black, album capace di vendere cinquanta milioni di copie in tutto il mondo. Ma questa è un’altra storia.

High Voltage fu un successo locale, ed ebbe distribuzione solo in Australia. L’album era composto da sei canzoni scritte dal trio principale Young M./Young A./Scott, più Soul Stripper scritta solo dai fratelli Young e una cover di Baby, Please Don’t Go di Big Joe William. High Voltage era un prodotto potente e grezzo: in alcune registrazioni, ascoltando attentamente, si possono ancora sentire risate in sottofondo. Probabilmente, neanche le performance vocali di Bon Scott sarebbero considerate abbastanza buona da essere incise, oggi come oggi. Ma erano più che sufficienti per dimostrare la potenza degli AC/DC al pubblico australiano degli anni Settanta (l’ho già detto, che lì ai tempi non andavano troppo per il sottile?).

Esiste poi una seconda vita di High Voltage: la versione internazionale, uscita nel 1976, che avrebbe spianato la strada al successo globale degli AC/DC. Stranamente però, High Voltage nella versione che quasi tutto il mondo conosce – quello presente oggi sui servizi di streaming – è un altro disco: un’antologia di brani pescati dall’originale australiano e dal secondo album della band (secondo molti fan, nettamente migliore dal punto di vista musicale)T.N.T..

Il problema è che le canzoni provenienti daT.N.T. sono in netta maggioranza: dell’originale High Voltage erano rimaste solo She’s Got Balls e Little Lover. In compenso c’era High Voltage, la canzone, che non era presente nell’album australiano dallo stesso titolo, ma inT.N.T.

Insomma, grande era la confusione sotto il cielo discografico dell’hard rock. Ancora maggiore, se consideriamo che la copertina era stata modificata due volte: nella versione americana la copertina era una fotografia di Angus Young, mentre quella europea era curiosamente quasi in stile disco – e chissà se non finì per ingannare qualche ascoltatore del vecchio continente. Ma se così fosse stato, qualsiasi dubbio sarebbe stato spazzato via al primo ascolto: non erano ancora gli AC/DC che sarebbero venuti negli anni successivi, ma c’erano tutti gli elementi di stile che sarebbero diventati parte della loro liturgia elettrica. Sempre uguale a sé stessa, ha detto qualcuno, e la risposta di Angus Young è rimasta celeberrima: «Un giornalista ci ha accusato di aver fatto lo stesso album 11 volte. In realtà, l’abbiamo fatto 12 volte». Le critiche non hanno mai preoccupato quei ragazzi – oggi ultrasettantenni nei casi più fortunati, oppure passati a miglior vita – abituati a farsi largo nella musica in stile Australia, anni Settanta. Figli, che tempi.

07:12

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RSI Cultura 12.02.2025, 13:15

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