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Non è un’impressione: i concerti stanno diventando sempre più numerosi

Il 2023 è stato l’anno record per la musica live, mandando alle stelle gli incassi – e i prezzi dei biglietti. Quanto si può espandere ancora questa bolla?

  • 17 gennaio, 14:34
  • 18 gennaio, 09:23
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Di: Michele R. Serra 

Prendendo come esempio solo le due metropoli più vicine – Milano e Zurigo – nei prossimi mesi potremo decidere di andare a vedere i Metallica e i Club Dogo, i Green Day e Tedua, Bruce Springsteen e Vasco Rossi, J Balvin, Doja Cat, Olivia Rodrigo, i Sepultura… La lista potrebbe andare avanti ancora diecimila battute, il succo è: l’offerta di musica dal vivo non è mai stata così varia, e i concerti non sono mai stati tanto numerosi e con successo di pubblico.
Rimanendo sulla piazza italiana, i Club Dogo festeggiano la reunion con dieci date consecutive al Forum e hanno da poco annunciato un finale a San Siro: lo stesso stadio che sarà occupato da Vasco Rossi per sette serate a giugno. Per carità, Vasco non è nuovo a imprese live epiche – il suo Modena Park 017 è tuttora il secondo concerto più partecipato della storia, se escludiamo quelli gratuiti – ma sette San Siro consecutivi non si erano mai visti neanche all’apice della sua carriera. Per inciso, tutti i concerti sono già sold out, e pare sia stato solo il parere negativo del comune di Milano a frenare Live Nation dall’aggiungere altre tre date. Sono solo due esempi, miti di diverse generazioni che allargano ancora di più la portata dei loro eventi live. Ma a guardar bene anche gli ultimi arrivati si possono permettere palazzetti da diecimila paganti: Baby Gang suona al Forum di Assago a maggio, i Pinguini Tattici Nucleari ne fanno sei in primavera, continuando un filotto di successi che li ha portati al record di un milione di biglietti staccati l’anno scorso. Nessuno ci avrebbe scommesso, e invece.

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Non è un caso, se anche i cantanti italiani possono permettersi certe cifre: il settore della musica dal vivo ha chiuso il 2023 con un record globale. E non si tratta solo di Beyoncé e Taylor Swift. I dati di vendita dei 100 tour più importanti dell’anno passato, analizzati da Variety, sono cresciuti enormemente sia rispetto al 2022 che rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia: il fatturato totale dei tour sulla lista supera i 23 miliardi di dollari, con un incremento oltre il 40% in dodici mesi. Nei soli Stati Uniti, i ricavi dei concerti potrebbero oltrepassare i 10 miliardi entro il 2027, secondo le stime economiche della società di consulenza PriceWaterhouseCooper. Questi dati raccontano che non c’è mai stata tanta fame di musica dal vivo come in questi anni post-Covid, ma dicono anche un’altra cosa, persino più importante: i concerti hanno salvato l’industria musicale.  
Negli anni Dieci, infatti, il panorama del mercato musicale era a dir poco deprimente. Pensiamo solo al mercato americano, che è sempre stato quello più importante per il mondo occidentale: tra il 2010 e il 2019 le vendite di dischi, quindi supporti fisici, erano calate dell’ottanta per cento. Ai Grammy Awards, il premio più importante dell’industria musicale statunitense, erano candidati album che non avevano mai avuto un’uscita fisica tradizionale. E questo era un problema non per i nostalgici del “suono caldo” del vinile o di altre banalità, era un problema per il sistema, semplicemente perché lo streaming non garantiva guadagni altrettanto alti. La tecnologia sembrava aver minato alle fondamenta lo sviluppo del music business: gli MP3, nati per aiutare l’industria musicale, avevano finito per danneggiarla – e non solo quella, visto che con gli MP3 abbiamo aperto le porte all’idea che non fosse necessario pagare per i consumi culturali, e per i media in generale. Che è un’idea all’apparenza meravigliosa, ma si rivela in breve tempo distruttiva. L’industria musicale, insomma, aveva un problema: dove trovare i soldi? E la risposta è stata: nei concerti.

Le grandi aziende che producono questi eventi – dalla già citata multinazionale Live Nation in giù – si sono viste creare dalla pandemia Covid un’opportunità enorme, e dal 2022 stanno raccogliendo i frutti: la domanda repressa del 2020-2021 è infatti esplosa negli ultimi due anni, e anche se le economie mondiali combattono con turbolenze geopolitiche, anche se gli indicatori di crescita economica sono in calo in buona parte del mondo occidentale, i fan continuano a riempire gli stadi, facendo registrare entrate record per il settore della musica dal vivo.
Tuttavia, anche questa luna di miele tra pubblico e organizzatori potrebbe finire: i secondi negli ultimi anni si sono impegnati a fondo per capire quanto i fan siano disposti a pagare per assistere a uno spettacolo. E hanno alzato i prezzi (oltre a mettere in atto una serie di pratiche commerciali a dir poco fastidiose). La scommessa, finora, è stata vinta: i fan non hanno raggiunto il punto di rottura, sposando in pieno l’idea che gli americani hanno chiamato funflation, l’inflazione del divertimento. L’idea è quella di spendere sempre più soldi in cose divertenti, perché il mondo è impazzito e andare a un concerto è un modo per perdere di vista i problemi, allentare l’ansia. Tuttavia, prima o poi si raggiungerà un tetto, e la bolla scoppierà. Ma probabilmente non sarà nel 2024.

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