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Perché i dischi non sono solo musica

Quando iI packaging e le copertine diventano opere d’arte

  • 10.12.2023, 14:00
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Jethro Tull, , Stand Up, Island, 1969

Di: Stefano Roncoroni 

La vedete l’edizione del secondo disco dei Jetro Tull qui sopra? La vedete l’immagine pop-up del gruppo che esce aprendo la copertina? Mitica, no? Ecco, un file non sarà mai così, resterà sempre un file, una cosa immateriale, senza corpo o, direbbe addirittura qualcuno, senz’anima. Mentre un disco sarà sempre qualcosa di fisico, toccabile, con un involucro, quasi una tela sulla quale si può essere creativi, indipendentemente dalla musica che contiene.

E, per quanto un file musicale sia grande, non compresso, magari in WAV o Flac, per quanto suoni bene, non potrà mai essere guardato, ammirato, preso in mano, coccolato, accarezzato. Una parte del fascino del disco fisico sta lì, anche nella confezione. Perché davvero, a volte, un disco si giudica anche dalla copertina. Questo articolo è dedicato ad alcuni dischi particolari, che hanno una copertina speciale, magari non quadrata, magari modificabile, un packaging speciale, oppure che contengono oggetti in tema con l’album.

The Velvet Undeground, “The Velvet Underground & Nico”, Verve, 1967

È il celebre “Banana Album”, il disco con la banana di Andy Warhol in copertina. Warhol è fra l’altro produttore dell’LP insieme a Tom Wilson. La banana non è solo un’immagine che abbellisce la copertina, è un’opera d’arte a sé, che vive di vita propria e con la quale si può interagire. Si può sbucciare, nelle prime copie c’era proprio la scritta “Peel slowly and see” e il frutto dentro è rosa shocking, cosa inaspettata e che rende il tutto molto Pop Art, fumettistico, ma anche sexy, fallico, ammiccante. In copertina non c’è il nome del gruppo, nessun titolo, nessuna foto, solo la firma dell’artista per la sua opera.  

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Il disco, che ebbe dei grossi problemi di distribuzione, è una pietra miliare del rock. La new wave, il post-rock e il rock più sperimentale gli devono molto. È anche l’album che porta tematiche nuove nel genere, temi molto urbani, nuove forme di sessualità, la droga vista anche come spaccio e ricerca drammatica della propria dose.

PIL, “Metal Box”, Virgin Records, 1979

3 dischi da 12 pollici a 45 giri, contenuti in una scatola metallica rotonda, per capirci nello stile di quelle per la pellicola cinematografica. Al centro della scatola il logo Pil, in rilievo, con la “i” minuscola e con una striscia obliqua che passa per il centro. I tre dischi che sono divisi fra loro solo da tre fogli rotondi di carta. Già togliere i vinili dalla scatola metallica è un’impresa, voluta e cercata dal gruppo, che paga di tasca propria la strana confezione, prodotta in cinquantamila copie.

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Tutto è scarno, ma estremamente affascinante nell’essere minimale: ai colori si preferisce il grigio, alle fotografie luccicanti si preferisce il metallo ruvido e opaco, sembra qualcosa di paramilitare che debba resistere ad un incidente atomico. I Public Image Ltd. sono il gruppo di John Lydon, ex cantante dei Sex Pistols. Metal Box è uno dei dischi più importanti del post-punk, cupo, elettrificato, si muove a confini con l’industrial e il dub. Per il genere, è epocale.

Area, “Arbeit macht frei”, Cramps Records, 1973

È uno dei dischi più importanti mai uscito in Italia. Le doti vocali pazzesche di Demetrio Stratos, le grandissime capacità tecniche del gruppo, i testi di Gianni Sassi, la musica che spazia da rock al jazz, all’improvvisazione, a varie radici etniche, come nulla fosse: tutto crea un capolavoro.

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Qui ci interessa, soprattutto, la confezione. L’immagine che si trova all’interno del disco è già un’opera a sé. Nella foto ci sono tanti elementi: il gruppo seduto, disteso, per terra, a piedi nudi, una falce e un martello, una kefiah, un’immagine sacra, una foto dell’entrata del campo di concentramento di Auschwitz, una statuetta, con una sorta di elmo, imprigionata in una specie di cintura di castità (è una scultura di Edoardo Sivielli, si trova anche in copertina) e, per finire, una sagoma di una pistola.

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E proprio la pistola, di cartone, è anche lo strano “gadget” dato in omaggio con il disco. Una strizzata d’occhio alla lotta armata? Sembrerebbe, ma tutto è anche legato ad un ribaltamento di senso geniale: alla pistola è attaccata un’etichetta sulla quale, sotto il nome del gruppo, spiccano le parole “Corpo di reato n. 1091512”.  Tutto crea un cortocircuito semantico, un po’ come nella famosa immagine della pipa di Magrit con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”: come dire, questa non è la pistola vera per la lotta armata, è una pistola di cartone, un simulacro di un’arma che in più è ormai nelle mani della polizia. Spiazzante, no?

Misfits, “Box Set”, Caroline, 1996

È la raccolta della prima era dei Misfits, gruppo culto horror-punk, gli anni con il loro cantante Glenn Danzig (manca solo il disco “Walk Among Us”, del 1982, per problemi di diritti).In questo caso non parliamo di Lp in vinile, ma di quattro semplici CD. Ma ad essere davvero originale è la scatola che li contiene: una bara da morto, grigio-nera all’esterno con venature stile legno, ovviamente foderata in velluto rosso all’interno.

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L’ossessione per il tema della morte è una cifra stilistica dei Misfits. La band però vede il tutto sotto una luce particolare, assolutamente non drammatica: tutto il loro immaginario nerissimo nasce da un magma composto da horror, fantascienza di serie Z, cinema da drive-in per teenagers. L’orrore per gioco? Non solo, la visione di partenza del gruppo in fondo è seria: la realtà, la vita, sono dolore, dramma, e allora tanto vale rifugiarsi nel proprio immaginario adolescenziale fatto di fumetti e filmetti horror. Il box a forma di bara è un gioco e una cosa seria allo stesso tempo. D’altronde, chi non vorrebbe una bara tutta sua prima del tempo?

Ah, prima di morire, prendetevi cura e pulite i vostri dischi da lasciare in eredità!

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La cura del vinile

RSI Cultura 04.12.2023, 12:31

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