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Pete Seeger, dieci anni dopo

Dieci anni fa, 27 gennaio 2014, a New York moriva Pete Seeger, un gigante della musica americana popolare del Novecento

  • 27 gennaio, 06:40
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  • KEYSTONE
Di: Riccardo Bertoncelli

Era nato a New York il 3 maggio 1919, da una famiglia di musicisti e musicologhi, ma niente era più lontano da lui della vita metropolitana. Preferiva la campagna, e la cultura popolare che fioriva nei grandi spazi provinciali di un’America che amava e severamente criticava, senza sconti, proprio perché il suo amore era forte e sincero. Imparò a suonare il banjo e con quelle cinque umili corde, dopo avere abbandonato gli studi di giornalismo, cominciò a comporre la sua monumentale opera. Ancora ventenne aiutò il musicologo Alan Lomax nel suo lavoro di documentazione di brani tradizionali e quella fu la base di una straordinaria cultura in campo country e folk che avrebbe espresso negli anni in numerosi dischi tematici; canzoni per bambini (uno degli ambiti preferiti), ballate del vecchio West, “traditional christmas carols” e soprattutto “canzoni di lotta e protesta”, dai tempi della Grande Depressione agli inni pacifisti anni ‘60 e oltre.

Seeger cominciò la carriera nel 1940 con gli Almanac Singers, un trio che a un certo punto diventò quartetto con l’innesto di un altro cantautore appassionato e polemico, Woody Guthrie. Nel 1950 riprovò in gruppo con i Weavers, ottenendo maggior riscontri; il repertorio comprendeva canzoni di protesta ma anche vecchi temi della tradizione come Goodnight Irene, un classico di Leadbelly che fu per Seeger il primo successo di classifica. Abbandonati i Weavers, alla metà dei ‘50 si propose come solista, suonando dal vivo nella sua base del Greenwich Village e da lì in tutto il mondo, e pubblicando regolarmente per la Folkways Records di Moe Asch. Diventò famoso come divulgatore ma firmò anche brani originali o rielaborazioni di vecchi temi entrati nella storia della musica folk e poi rock, quando i ragazzi delle generazioni successive scoprirono quel tesoro e se ne impossessarono; ottimi esempi sono We Shall Overcome, If I Had A Hammer (canzone di protesta che subì le ire della censura ma da noi arrivò scarica e banalizzata), Where Have All The Flowers Gone?, struggente inno contro la polluzione planetaria, e ancora The Bells Of Rhimney e Turn! Turn! Turn! (versione in musica di un passo dell’Ecclesiaste), rilanciate entrambe con successo dai Byrds.

“Long Time Passing” di Pete Seeger

La Recensione 30.10.2020, 16:00

  • freshgrass.com

Nel 1959 Seeger fu tra i fondatori del Newport Folk Festival, alle cui prime edizioni partecipò appassionatamente, aiutando giovani emuli come Joan Baez, Phil Ochs, Tom Paxton e Bob Dylan a farsi conoscere. Quando il “folk revival” di lì a poco diventò un fenomeno di massa non reclamò diritti di primogenitura e non assunse atteggiamenti puristici ma volentieri accolse in repertorio le migliori ballate di quei discepoli; indicativi in questo senso gli LP pubblicati per la Columbia fra il 1963 e il 1966, da We Shall Overcome (dal vivo alla Carnegie Hall) a Dangerous Songs!? a God Bless The Grass. Pacifista convinto, oltre che comunista in dissidio con l’Unione Sovietica dopo la denuncia dei crimini staliniani, Seeger fu tra le voci più critiche nei confronti dell’impegno americano in Viet Nam, e a quel tragico conflitto dedicò una delle sue ballate più amare e forti, Waist Deep In The Big Muddy. Quello spirito libertario contro tutte le guerre animò sempre la sua attività, così come l’impegno per un mondo pulito e sostenibile che nel 1966 lo portò a fondare con la moglie Toshi una storica associazione, “Hudson River Sloop Clearwater”, ancora oggi operante.

Seeger rimase attivo fino agli anni più tardi, e il sigillo alla sua discografia fu un sorprendente Seeger at 89 registrato nel 2008, alla soglia dei novant’anni. La sua musica ancora oggi risuona viva e forte, grazie alle antologie pubblicate da Sony e soprattutto Folkways, il cui catalogo è stato acquisito e restaurato dalla Smithsonian Institution. Fondamentali i cinque volumi di American Favorite Ballads, che grazie a una preziosa opera di digitalizzazione oggi sono disponibili anche su Spotify.

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