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Quadrophenia: pugni, chitarre rotte, fallimento e trionfo

Compie 50 anni il capolavoro che gli Who si sono rifiutati di suonare per i vent’anni successivi alla sua composizione. E che oggi è leggenda

  • 26 ottobre 2023, 09:00
  • 26 ottobre 2023, 09:11
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Di: Michele R. Serra
L’atmosfera all’interno del cinema Odeon di New Street, Birmingham, era simile a quella di uno stadio: i mods erano i tifosi di casa, si alzavano in piedi e applaudivano ogni volta che un rocker veniva preso a pugni in testa, sullo schermo. Quando era un mod a essere colpito, si sentiva solo qualche gridolino soffocato proveniente da quel settore della sala in cui si erano radunati quei pochi metallari che avevano osato presentarsi. Dopo il film, la violenza è scoppiata davvero: non una riedizione delle risse tra mod e rocker appena viste sullo schermo, bensì una scaramuccia tra gruppi mod rivali.

Così il giornalista britannico Stephen Glynn sottolineava l’impatto del film tratto da Quadrophenia sui ragazzi d’oltremanica, raccontando una proiezione in una qualsiasi sala delle Midlands, Inghilterra profonda, anno di grazia 1979. Una delle quattro incarnazioni dell’opera rock degli Who – album, tour, film, spettacolo teatrale – che hanno contribuito a renderla leggenda nell’ultimo mezzo secolo. Eppure Quadrophenia era stato sottovalutato da molti, cinquant’anni fa. Ed era diventato perfino un problema per gli Who.
Ma andiamo con ordine, e partiamo da loro, dagli Who. Che nel 1973 certo non avevano bisogno di fama: il botto iniziale di My Generation nel 1965 sarebbe bastato a qualunque band normale. Dopo quel successo, il gruppo era ospite fisso di trasmissioni televisive fondamentali per i ragazzi inglesi dell’epoca (sì, era un’epoca in cui i giovani guardavano la televisione, ma questa è un’altra storia) come Ready, Steady, Go!, show durante i quali possiamo solo immaginare l’impegno profuso dai cameramen nel tentativo di seguire il teatro messo in piedi dagli artisti che stavano di fronte ai loro obbiettivi. Sappiamo come funzionava: Keith Moon si contorceva sulla batteria, la spingeva in giro per il palco, la prendeva a calci fino a distruggerla; Pete Townshend saltava in aria mulinando accordi sulla sua chitarra, prima di farle fare – anche lui – una brutta fine; Roger Daltrey si pavoneggiava sul palco roteando il microfono tra una strofa e l’altra. I fan si chiedono ancora oggi come il bassista John Entwistle riuscisse a restare un’umana oasi di quiete in mezzo a quel circo. Ma anche questa è un’altra storia.

L’impossibile opera rock

Sia come sia, gli Who erano già piuttosto famosi a metà Sessanta – e ricordiamoci che la concorrenza musicale all’epoca era rappresentata da gente come Yardbirds e Kinks, per tacer di Beatles e Rolling Stones – ma erano diventati superstar all’inizio del decennio successivo, grazie ai venti milioni di copie vendute da Tommy. Già, proprio Tommy: più di Quadrophenia, almeno inizialmente, l’epitome dell’opera rock.
Quest’ultima era il sogno proibito di ogni musicista dei Settanta, e l’ossessione dei critici dell’epoca, un passo oltre il concept album che già li eccitava oltremodo. Non importava se, in fondo, è l’idea stessa di opera rock a essere discutibile fin dalle fondamenta: avrebbero vita facile i melomani che volessero far notare come tra La Traviata e The Dark Side of the Moon siano assai pochi i punti di contatto teorici. Le opere rock, da qualunque parte si girino, sono comunque una serie di canzoni, e poco hanno a che fare con l’alternanza tra parti narrative e grandi numeri musicali che contraddistingue l’opera classica. Ma al di là di ogni distinzione tecnica, la maggior difficoltà pratica per i musicisti è sempre stata quella di far convivere l’aspirazione alla grandeur operistica e il crudo realismo delle narrazioni rock (mix che peraltro riusciva piuttosto bene a Verdi, detto per inciso).
Chi, dunque, poteva essere in grado di superare il dualismo connaturato al concetto stesso di opera rock? Forse proprio gli Who erano i candidati ideali, come dimostrato da Quadrophenia. Perché gli Who sono sempre stati un gruppo profondamente teatrale, capace di meravigliose esplosioni di aggressività punk, ma anche di costruire momenti a tutti gli effetti catalogabili come art-rock. E Quadrophenia riesce effettivamente a tenere insieme sia il virtuosismo altissimo di composizione ed esecuzione che la negatività assai terrena di testi che non temono di sconfinare nella volgarità (ascoltare Doctor Jimmy, per credere). Una miscela perfetta, che funziona lungo tutta la durata dell’album: caso rarissimo, nella storia del rock.

Quadrophenia: la rissa tra Townshend e Daltrey

Tutto questo, naturalmente, possiamo dirlo oggi.
Nel 1973, invece, l’intero progetto-Quadrophenia fu causa di ansie e preoccupazioni per Pete Townshend, prima e dopo la sua realizzazione. Era del resto un album molto personale per il chitarrista, con diversi riferimenti alla vita sua e della band: un gruppo di ragazzi che avevano visto l’idealismo giovanile degli anni Sessanta trasformarsi nel realismo cinico della decade successiva; che erano riusciti a sopravvivere a tutte le trappole di quegli anni, e perfino a diventare ricche rockstar. Ma che per questo erano ormai inevitabilmente lontane dal pubblico – e anche tra di loro, a livello personale.
Townshend sperava che Quadrophenia potesse diventare la chiave per ritrovare il piacere di suonare insieme, da parte di quattro musicisti profondamente stufi di rimettere in scena Tommy e perfino il capolavoro Who’s Next?. Ma le distanze tra i membri della band diventavano sempre più ampie, e mentre Keith Moon si dedicava completamente agli eccessi da rockstar (“viveva come un sultano”), Townshend veniva sbeffeggiato per il suo album solista (Who Came First) dedicato al santone indiano Meher Baba. 
Così, quando gli Who iniziarono a registrare Quadrophenia all’inizio del 1973, Moon e Daltrey sembravano evidentemente poco coinvolti dal sogno epico di Townshend. Il primo non ci credeva, il secondo lo osteggiava apertamente. L’uomo capace di dare una svolta al progetto fu, come spesso accaduto, John “The quiet one” Entwistle: fu lui ad abbracciare da subito quell’idea di grandiosità, aggiungendo epici ottoni al mix. Grazie al bassista, il lavoro fu completato più velocemente del previsto.
Townshend era orgoglioso del risultato, ma continuava a essere in scarsa sintonia con Roger Daltrey, per usare un eufemismo: i litigi tra i due erano continui, e arrivarono al climax in una sera di fine ottobre. Dopo un breve battibecco, infatti, Townshend colpì il cantante con la sua chitarra. Daltrey rispose con un singolo montante che mise al tappeto Townshend. Pare che dopo l’alterco, però, tra i sia scoppiata la pace, tornato l’affetto: come se quel momento, e Quadrophenia, avessero tirato di nuovo fuori – e sublimato – la tensione e la violenza della postadolescenza mod che Townshend aveva cercato di catturare con la sua opera. Un cerchio si era chiuso: gli Who erano pronti a portare Quadrophenia sul palco.

Vent’anni di attesa: la rinascita del 1996

… Ma il lieto fine era ancora lontano. Nel corso dei primi concerti infatti, il pubblico sembrava incapace di seguire la vicenda raccontata dalla musica, e presto i membri della band si videro costretti a parlare molto tra un brano e l’altro, cercando di spiegare la storia prima di ogni canzone. Questo, prevedibilmente, uccideva completamente il mood. In più, anche il minimo problema tecnico era destinato a minare alle fondamenta la messa in scena di quella partitura estremamente complessa. Così, la frustrazione montò in breve tempo, e gli Who decisero di smettere di suonare Quadrophenia dal vivo. Per i 22 anni successivi. Con – per di più – la morte di Keith Moon a rendere la prospettiva di un ritorno di Quadrophenia sempre più impossibile. E invece bisognava solo aspettare, tutti quanti.
Nel 1996 infatti, con l’uscita dell’album rimasterizzato su CD, apparve finalmente chiaro che Quadrophenia era incredibilmente avanti sui tempi, tanto che solo con il progresso tecnologico era arrivato alla piena fioritura: la versione che ascoltiamo oggi ha un suono nitido, chiaro, pieno di sfumature, e rende giustizia anche ai passaggi più complessi. Quadrophenia sembra pensato proprio per andare in scena su un palco dotato di tutti gli accorgimenti tecnici del futuro, come effettivamente successe in quell’estate di metà Novanta, con gli Who superstiti impegnati in un tour trionfale in tutto l’occidente. Si tratta forse dell’unico caso in cui la reunion di una band ormai oltre la mezza età ha prodotto spettacoli migliori rispetto a quelli di gioventù.
Forse, come sempre, è necessario che il tempo passi, prima di riuscire a fare i conti con le meraviglie e gli sprofondi della nostra vita da ventenni.

Mi chiedi chi erano i MODS?

Stefano Roncoroni, Gioele Di Stefano 14.05.2018, 18:50

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