Musica rock

Quel Cobain così mio e così di tutti

Trent’anni dopo la dipartita autoinflitta, come il leader dei Nirvana influenzò stile e mentalità degli adolescenti dei Novanta

  • 5 aprile, 08:00
  • 5 aprile, 22:27

Kurt Cobain, trent’anni dopo

Andrea Rigazzi 05.04.2024, 08:00

  • Kurt Cobain (KEYSTONE/AP Photo/Robert Sorbo)
Di: Andrea Rigazzi

D’altronde che senso avrebbe ripercorrere ancora una volta la carriera dei Nirvana e di colui che ne fu alla testa, ovvero Kurt Cobain? Su di loro si trova la qualunque: disconi e dischetti, libri, film, documentari più o meno strutturati, in rete testimonianze video e pensieri sparsi. Per questo le prossime righe saranno incentrate sul mio rapporto con il biondino in questione, consumatosi a distanza, fra dischi e articoli da cui trasparivano le sue idee sull’arte e sulla vita. Non per forza accettate acriticamente. Insomma, mi baserò sul personale per cercare punti di contatto con l’esperienza comune.

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Quando fu annunciato il ritrovamento del suo corpo senza vita era periodo di vacanze pasquali. Quella mattina mi alzai presto, accesi sulla CNN e vidi le immagini dell’Unplugged. Seppur ancora stordito dal sonno, capii: Cobain non c’era più. La mia reazione fu quasi di indifferenza, quella di chi apprende qualcosa nell’aria da tempo. Il ricovero romano per overdose di farmaci e alcol ne era stato il sinistro prologo.
Al rientro dalle vacanze, ricordo una ragazza nerovestita sul piazzale del liceo, il luttuoso color pece degli abiti che contrastava con il biondo dei suoi capelli.
Nelle orecchie, invece, ho “Nevermind” che esce a tutto volume dalla stanza di un mio compaesano, suoni captati durante una passeggiata anni dopo la data che stiamo rievocando. Era primavera, come primavera fu per me il grunge rock.

All’epoca stavo a galla fra i marosi dell’adolescenza; la musica dei Nirvana rappresentò forse non la più sicura delle rocce ma una roccia che sentivo mia. Un approdo ruvido ma accogliente, dopo anni di musica di plastica e star patinate, distanti da me un po’ per le pose, un po’ perché non le avevo vissute all’apice della loro parabola. Quei disadattati del Nordovest USA mi colpirono perché in qualche modo vicini al mio sentire. Con i loro maglioni bucati, i camicioni a scacchi, i jeans stracciati, ai piedi scarpe di tela o scarponi, ci consegnarono un messaggio di (moderata) ribellione a ciò che fin lì era stato conformismo. Indossare una maglietta tinta unita come affermazione di sé, in tarda era di grafiche paninare. Un approccio diverso, più che una rivoluzione.
Un mio amico andò a comprare un paio di scarpe e chiese alla commessa se non ne avevano di già consumate. E lei: “Se vuoi, prima le faccio mettere al mio fidanzato”.
Fu anche una questione di immagine, veicolata dalle tivù musicali, che sfruttarono l’aspetto gradevole di quei musicisti. O meglio, quelli dall’aspetto gradevole riuscirono ad arrivare in tivù.

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Cobain fu una specie di bussola per (dis)orientarmi fra i miei coetanei. Non un maestro, nemmeno un istigatore. Mi tenni sempre lontano dai vizi che lo portarono sull’orlo del precipizio. Una sorta di motivatore, che mi spinse verso la rottura di alcuni schemi. Un ispiratore, ecco. Per esempio in fatto di stile. Ne adottai uno caotico, scoordinato, mi posi all’estremo dello spettro. “Il punk rock è libertà” aveva detto. Intercettavo qualsiasi rifiuto tessile girasse per casa, cercavo i vestiti negli armadi dei miei genitori e dei miei nonni, magliette e camicie le compravo rigorosamente al supermercato. Nessun colore sposato all’altro, l’importante era essere – o sembrare – strano.

Non fu solo involontario consulente del mio abbigliamento straccione. Ogni sua intervista era fonte d’ispirazione musicale. Aveva il vezzo di citare gruppi che gli piacevano, e questo mi portò a scoprire Melvins, Wipers, Vaselines e tutto il pop C-86, per elencarne alcuni. Se sono qui a scrivere di queste cose, lo devo anche a lui. Senza calcolare l’effetto più scontato, ossia farmi comprare una chitarra elettrica e cercare di mettere insieme una band. Di cui sarei stato cantante e chitarrista, ovviamente.

Cobain. Non riesco a chiamarlo Kurt. Seppur in modo caotico, ciò che era, cantava e dichiarava rientrava in un tutto coerente. La sua querelle coi Guns’N’Roses rafforzava l’idea di far parte di una comunità nuova, sparpagliata in giro per il globo ma unita sotto le insegne dello smile sballato, celebre logo dei Nirvana poi scopiazzato innumerevoli volte. In epoca pre-internet si aspettava il prossimo disco, il servizio sulla rivista specializzata, il lancio del singolo in radio o lo speciale in tivù. Si mettevano assieme questi pezzetti e il resto lo si faceva con mezzi propri, tanti ascolti e il pogo - scomposta danza a spintoni - ai concerti. Così ci mantenevamo in contatto con i nostri riluttanti beniamini.

Negli anni successivi elaborai la dipartita dandole veste di tradimento. Addirittura non ascoltai più rock per un po’, tale e tanta era la delusione. Ritenevo ci avesse mollato qua in balia di quella stessa industria che prima lo aveva elevato e poi stritolato. Remunerandolo lautamente, certo. Forse, tipo i Sex Pistols, provò a fregare il sistema dall’interno schiantandosi anche lui come quelli del detto, che andarono per suonare e sappiamo com’è finita.

Un paio di capi “recuperati” ai tempi li indosso ancora oggi abbinando però i colori, in una band ho cantato, sì, ma superati i trenta. La mia parte musicale ha fatto pace con lui: i dischi dei Nirvana li ascolto e li apprezzo, seppur con un altro orecchio. Anche se un accenno di “air guitar” parte sempre. Mi sembra giusto almeno citare Grohl e Novoselic, sezione ritmica di prim’ordine che completava un terzetto potente.

Per una sorta di malìa, lo stesso giorno ma otto anni dopo morirà Layne Staley, cantante degli Alice in Chains, altro numero uno tra quei malinconici bardi.

Porto anche Layne in queste ultime righe, simile a Cobain perché dal loro disordine affiorava, setacciando bene, un’idea di semplicità. Trovo che questo sia il lascito più importante della primavera grunge sbocciata a inizio anni Novanta: la semplicità.

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  • Keystone

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