Musica rock

The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle

Il 5 novembre del 1973 Bruce Springsteen pubblicava quello che molti critici considerano il suo primo capolavoro

  • 5 novembre 2023, 09:00
Bruce Springsteen
  • Reuters
Di: Alessandro Bertoglio

In questi tempi (in realtà da sempre, ma forse oggi ce ne accorgiamo di più, vista la quantità di proposte che abbiamo a disposizione) va di moda il coming of age, il racconto di formazione, che spopola nei film e in letteratura. Nella musica è forse un po’ più complicato vivere una esperienza del genere, perché o ci si imbatte su un concept album tematico, oppure va considerato il fatto che ogni disco è figlio del precedente, per evoluzione artistica, per scelte, per umori.

Con qualche eccezione, come quella che è ad esempio rappresentata da “The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle”, il secondo album di Bruce Springsteen.

Il primo disco, “Greetings from Asbury Park, N.J.” era uscito solo pochi mesi prima, il 5 gennaio 1973, ed era figlio dell’innamoramento di John Hammond, storico talent scout di Columbia Records, perennemente alla ricerca del nuovo Dylan. Che trovandosi di fronte un ragazzetto dalla determinazione incrollabile, che già da alcuni anni faceva gavetta tra il New Jersey e la “grande mela” con gruppi rock di coetanei, ed un “demo” pieno di ballate acustiche di grande impatto, non esitò un istante a spendersi con il presidente dell’etichetta, Clive Davis, per metterlo sotto contratto. Un contratto lungo ma standard, tre album. E “Greetings”, nonostante tutto, almeno nei primi mesi, sembrava non funzionare come previsto, al punto da rimettere in discussione l’accordo con Springsteen. Che, da bulimico creatore di musica quale è sempre stato, sul nuovo disco si era messo a lavorare da subito, perché voleva realizzare un disco vero, non una raccolta di ballate da one-man-band; un disco dove poter sfogare tutta la sua passione per la musica suonata con gli amici, per le storie da raccontare che andavano oltre la misura standard del three minute record, in questo spalleggiato dal suo produttore/amico/manager Mike Appel, ben consapevole delle capacità del “suo” artista (“suo” perché, scopriremo anni dopo, era riuscito a legare Springsteen con un contratto molto vincolante che portò ad una lunga causa legale).

Sette le canzoni dell’album: “The E Street Shuffle”, “4th of July, Asbury Park (Sandy)“; “Kitty’s Back”; “Wild Billy’s Circus Story”; “Incident on 57th Street”; “Rosalita (Come Out Tonight)“; “New York City Serenade” più “Thundercrack” scartata all’ultimo dalla selezione finale, ma già suonata in molti concerti. Tutte incise con l’embrione di quella che sarà la futura E-Street band (che battezza “heart-stopping, pants-dropping, love-making, earth-quaking e ultimamente, vista l’età, Viagra-taking”): Bruce stesso, Clarence Clemons, Garry Tallent, Danny Federici e, soprattutto, David Sancious, immenso tastierista che, pur non avendo un ruolo nel futuro della band, è stato colui che ha spinto per incidere il disco, imporre un suono specifico e creare le fondamenta di quello che sarà uno dei più fortunati sodalizi del rock americano.

Bruce Springsteen - The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle (retro copertina)
  • Columbia Records

Le canzoni di “The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle” sono ricche di parole, che creano un racconto quasi cinematografico, solidamente radicate nella provincia del New Jersey, la “casa” di tutta la band, e la vicina metropoli. Raccontate quasi sempre in prima persona: storie di vita, o immagini di cosa circonda il protagonista. Il sound è imponente, visto che le canzoni nascono per essere suonate dal vivo e quindi dilatarsi a dismisura, sono musicalmente piene, ricche, segnate da virtuosismi quasi eccessivi ma melodicamente inappuntabili, segno di maturità artistica già avanzata per un ragazzo che ha da poco compiuto 24 anni. Un ragazzo (ed il suo produttore) ben consapevoli di realizzare un prodotto che difficilmente poteva trovare una solida promozione da parte della casa discografica. Canzoni lunghe e non radiofoniche, nessun singolo, commistioni di stili anche all’interno dello stesso brano. Ma il disco esce, come da contratto. E in parte sorprende: soprattutto i critici musicali delle principali riviste, che ne esaltano la qualità e iniziano a promuovere Springsteen e la sua band come uno degli spettacoli rock da non perdere.

Spettacoli che per lunghi anni, da quel momento, si concluderanno con “Rosalita”, brano icona del primo Springsteen. Come la lenta e intensa “4th of July”; come New York City Serenade” che ha usato in tempi recenti per due occasioni (su tre) a Roma, accompagnato da un’orchestra di archi, per aprire il suo show. O la “Kitty’s back” tornata sorprendentemente nella scaletta dell’ultimo tour europeo questa primavera.

Mattoni, importanti, su cui il Boss ha costruito il suo percorso musicale di oltre 50 anni, prime pagine di un racconto di formazione che, insieme alle travi portanti di “Born to Run”, “The River” o “Nebraska”, lo ha portato ad essere uno degli artisti più amati del pianeta.

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