Per molti i Carnival of Fools sono uno dei più bei tasselli nel mosaico dell’underground italiano. Di sicuro sono uno dei segreti meglio custoditi, visto che il loro culto è qualcosa di sacrale, di nicchia, quasi per adepti.
Nascono nella Milano anni ’80, quella “da bere”, quella dei Paninari dai vestiti firmati, con le Timberland e il Moncler, quella degli “yuppies”. Ma non c’entrano niente con quell’universo dorato, o che voleva sembrare tale. E c’entrano anche poco con la scena punk hardcore, allora molto forte in Italia. Quello che facevano loro aveva un cuore legato a un blues malato sporcato di punk, era una terra fragile in cui pochi gruppi si avventuravano: nel mondo i Gun Club, i Cramps, i vari gruppi capitanati da Nick Cave; nella penisola i leggendari Not Moving.
A guidare il gruppo, nelle sue varie formazioni, Mauro Ermanno Giovanardi, quello che poi sarebbe diventato il cantante dei La Crus.
Ci racconta Giovanardi:
«Fare un certo tipo di musica era per davvero mettersi una divisa addosso e dire “io faccio questa musica qua perché voglio essere diverso da te”. Era proprio un modo di essere, mettevamo sul tavolo tutto, eravamo disposti a tutto per fare questa roba: ci sentivamo davvero degli eroi!
I Carnival of Fools sono stati un’idea: l’idea di far convivere la musica post-punk con il blues, la sperimentazione con l’approccio cantautorale e anche con il vissuto. La mia mamma mi racconta che io ero sempre appiccicato al mangia dischi. Quando io sono nato, lei aveva poco più di 18 anni. Per cui aveva la casa “cosparsa” di 45 giri e credo che questa melodia italiana mi sia rimasta, per cui ho cercato di fare un mix tra le cose che mi piacevano, le cose che ascoltavo e le cose con cui ero cresciuto».
JESUS LOVES THE FOOLS - Un carnevale dei pazzi, dei sedotti e degli abbandonati - The Carnival Of Fools Story è il documentario che racconta e riporta alla luce la leggenda dell’oscuro gruppo milanese. Di recente ha ricevuto il premio “Best Italian Movie” al Seeyousound Festival 11 di Torino. È opera del regista Filippo D’Angelo, di Mauro Ermanno Giovanardi e del regista Dimitris Statiris, che abbiamo incontrato qualche settimana fa ad una proiezione in anteprima.

Dimitris Statiris e Mauro Ermanno Giovanardi
«Esattamente come in quel periodo musicale, come si facevano i dischi allora, è stato fatto anche questo film documentario. Ha un’estetica volutamente povera, volutamente grezza, volutamente immediata, senza avere l’estetica così patinata delle cose di oggi.
La musica allora era una questione di vita e morte, non era un riempitivo dell’ambiente mentre stai facendo altre cose. Quando compravi un disco lo consumavi per ore e ore e ore, anche perché era faticoso andare a trovarlo e comprarlo: questo ti portava a vivere questa esperienza con un’intensità quasi sacrale!»
Dimitris Statiris all’epoca ha visto il gruppo tantissime volte. Era un fan. Ma com’erano i Carnival sul palco?
«Erano dirompenti, disturbanti, ma non nel senso dell’aggressività musicale, quella estroversa del classico punk. Era un’aggressività, una tensione, un’energia più interiorizzata che usciva fuori, non con un atteggiamento in stile “a voi pubblico butto in faccia la mia sonorità”: tutto era rielaborato, a volte, stranamente anche con delle melodie all’interno del rumore».
Tutto il materiale dei Carnival of Fools è di recente stato ristampato in un box dalla benedetta Area Pirata Records: The Carnival of Fools - Complete Discography 1989/1993. Di norma queste cose portano ad una reunion e a dei tour commemorativi. Ma non è questo il caso.
«In tantissimi mi stanno chiedendo perché non rifaccio i Carnival, perché non riformo i Carnival: io sono una persona molto diversa da 35 anni fa, per cui rimettermi a fare quel tipo di cose mi sembrerebbe come scimmiottare me stesso. E questa non è arte. L’arte è mettersi in gioco continuamente».

Il documentario sui Carnival of Fools (Il mattino di Rete Tre)
RSI Cultura 21.04.2025, 11:40
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