Dal 4 ottobre 2024 è ripartita una nuova stagione di Cliché. Nuovo studio, nuovo giorno di messa in onda, nuovi cliché da indagare per un nuovo ciclo di sei puntate del magazine culturale di LA 1. Giunto alla sesta edizione, il format creato da Lorenzo Buccella si è rinnovato completamente e si è spostato a venerdì, dopo Patti Chiari. Accompagnano il percorso di ogni puntata le recensioni letterarie dello scrittore Tommaso Soldini (che qui firma un pezzo presentando la quinta puntata dedicata al tema dello scandalo, gli interventi musicali di Camilla Sparkss e, tra le novità di questa stagione, le opere di video-arte realizzate con i materiali originali degli archivi storici RSI dall’artista Sir Taki. Buona lettura.
Lo scandalo è un osso che spunta dal terreno. Scavi intorno, porti alla luce, ma non sai davvero che cosa questo comporterà. Potrebbe trattarsi di una gonna più corta di qualche centimetro, ed ecco che insieme a quel lembo di stoffa se ne potrebbero andare centinaia di anni di perbenismo, di maschilismo, di uteri acquistati a colpi di matrimoni combinati. Oppure quello che emerge è il sistema delle tangenti, la corruzione, la classe politica e quella economica che si sorreggono l’una con l’altra, edificando solo sé stesse. In ognuno dei due casi lo scandalo smuove, dissotterra, come un’ascia che chiama alla guerra.
Qual è l’indecenza? Guglielmo Tell che uccide Gessler, da dietro un albero, a tradimento, oppure era quella di prima, la pertica piantata ad Altdorf, un cappello da salutare, in segno di reverenza, sudditanza, minorità. Il balivo che pretende obbedienza e che, di fronte al rifiuto, costringe il potenziale eroe a balestrarsi tra l’amore per il figlio e quello per la vita.
Perché dietro ogni scandalo c’è sempre qualcuno che ha violato, intralciato l’ordinario e armonioso scorrere degli eventi. C’è un’empietà. Ma non è facile capire se a bestemmiare sia il matto che grida il re è nudo oppure se siano tutte le accettazioni, le imposizioni, che placidamente vengono assimilate, purché il potere, anche se iniquo, continui a garantire l’accesso al grande spettacolo virtuale.
Che cosa è davvero preferibile? Una società che non si scandalizza di niente, che non può essere mai espulsa dalla propria area di conforto, oppure una che urla, indica, mette alla gogna. Il dilemma non sussiste, perché in ogni modo, qualunque forma abbia la realtà in cui ci muoviamo, lo scandalo è possibile. È sufficiente muovere il righello del tempo in qua o in là per accorgersi che siamo passati dalle caviglie delle dame mostrate con le gote brucianti, ai vestiti griffati in cui, a essere coperte, sono quasi solo le caviglie. Perché se madre natura è più o meno sempre la stessa, sono i nostri occhi che vanno a posarsi sempre dove fa male, dove c’è il brivido che si conficca nel cervello, cambiando la storia degli usi e dei costumi.
Lo scandalo, quando c’è, lo riconosciamo subito. Spazza via il nostro equilibrio fisico, come a dire che i piedi per terra, a volte, non sono sufficienti per stare eretti.
Tutti sappiamo come è andata a finire, lo scandalo è diventata leggenda, la leggenda confederazione. Guglielmo Tell ha colpito la mela, ma aveva in serbo una seconda freccia per il tiranno. La libertà ha assunto un nuovo corso, un nuovo senso; ed eccoci tutti lì, pronti, a toglierci il cappello per salutare la nuova normalità.