Società

Meta rinuncia al 99% dei filtri estetici delle sue piattaforme

A partire dal 14 gennaio (quasi) niente più filtri di bellezza su Instagram e Whatsapp. Una scelta dettata da ragioni etiche o economiche?

  • Ieri, 08:39
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Di: Elia Bosco  

Il teatro dell’apparenza, Instagram, ha da poco perso molte delle sue “maschere”. Meta, la società di Mark Zuckerberg, che recentemente è al centro di diversi dibattiti per il cambiamento delle sue politiche aziendali, non smette di far parlare di sé in questo turbolento inizio 2025.

Chi può dirsi esente dall’avere almeno una volta provato a indossare le orecchie da cagnolino o di aver sfoggiato il proprio muso da coniglietto? Chi non ha mai provato ad avere un’anticipazione del proprio aspetto fisico da anziano? O, ancora, chi non ha mai provato a cambiarsi virtualmente il colore dei capelli? O a trasformarsi in un cartone animato? Questo e molto altro era ciò che gli oltre due milioni di filtri presenti sulle piattaforme Meta permettevano di sperimentare agli utenti. Momenti di leggerezza, divertimento, curiosità, da soli o in compagnia, per ingannare il tempo nelle piovose domeniche pomeriggio.

Beninteso, i filtri non svaniranno nel nulla. Meta non può permetterselo. L’operazione è volta ad eliminare non tutte le “maschere”, ma solo quelle prodotte da terze parti che utilizzano tecnologie di realtà aumentata. Se ieri erano milioni, da ora in poi i filtri saranno un centinaio, tutti sviluppati autonomamente dall’azienda americana. Si tratta della conseguenza della scelta di Meta di chiudere Spark, la sezione dedicata alla creazione di filtri AR: «A partire da martedì 14 gennaio 2025 gli effetti di Realtà Aumentata (AR) realizzati da terze parti, inclusi i marchi e la nostra più ampia comunità di creatori AR, non saranno più disponibili», ha annunciato la piattaforma in un comunicato. Una decisione che è stata presa sulla scia del provvedimento dell’altro gigante dei social network, Tik Tok, che a fine novembre ha deciso di impedire l’utilizzo di filtri di bellezza agli utenti minorenni.

Sì, perché, in realtà, è questo il tema più scottante e controverso: l’utilizzo di filtri di bellezza sulle piattaforme social. Un vero e proprio fenomeno sociale che interessa la stragrande maggioranza degli utenti, in particolare coloro che fanno dell’aspetto fisico il proprio lavoro. Moltissimi influencer e moltissime influencer adottano ritocchi virtuali quotidianamente quando interagiscono con le loro community. Un naso grazioso, lentiggini artificiali, occhi di colore più inteso, guance rosse e labbra carnose... sembrerebbe che la mania dell’aspetto estetico sia una delle tendenze più in voga nell’universo dei social network e questo non sorprende affatto in un contesto che fa della superficialità la sua cifra distintiva. E ciò produce interazioni, permette la crescita dei numeri e, con essa, del guadagno.

I filtri non nascono con i social network. Esistono fenomeni simili datati molto tempo prima. Nel cinema, ad esempio, si sono sempre utilizzati strumenti e strategie che agiscono in questo senso. È qualcosa di naturale. Quello che è innaturale è veicolare un messaggio che rende l’apparenza più appetibile dell’intelligenza. Credo che l’identità di una persona non possa essere in un telefonino. L’identità si sviluppa negli anni, con molto impegno e fatica, attraverso l’introspezione, la riflessione. Spero che i ragazzi e le ragazze non cadano nel prototipo della bellezza perfetta. La perfezione è noiosa. La bellezza sta nell’imperfetto, non nel perfetto.

Lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet ai microfoni della RSI

C’è, tuttavia, un’altra faccia della medaglia. Se ne è parlato molto e attraverso diversi media: il rapporto di giovani uomini e giovani donne con la propria apparenza fisica è sempre più oscuro e contraddittorio. Il controverso film, premiato a Cannes, di Coralie Fargeat, The Substance, ragiona proprio sugli standard di bellezza che la società di oggi richiede per potersi considerare “appetibili” sul mercato del lavoro. Un fenomeno di cui siamo testimoni ogni giorno sui social network. Sì, perché, proprio come nel film, dove la protagonista “vende la sua anima” per ottenere un aspetto fisico che nasconda l’inesorabile trascorrere degli anni, così milioni di giovani utenti cercano attraverso i filtri di adeguarsi a ciò che il pubblico vuole vedere, sottoscrivendo un tacito, forse inconsapevole, patto con sé stessi e con le piattaforme, rinunciando di credere nel valore della propria unicità e nella bellezza dei propri difetti estetici.

I problemi connessi all’ossessione del bell’aspetto interessano l’interiorità degli individui e toccano temi universali che ci accompagnano da sempre, come la sfiducia in sé stessi di fronte a modelli che appaiono sempre più perfetti. Perché anche i filtri utilizzati sui social sono specchio della tendenza umana di non accettarsi così come si è, per sottomettersi a ciò che la società richiede che noi siamo. Un grande segnale di mancanza di autostima che attiva dei processi cognitivi malsani soprattutto per i giovanissimi e le giovanissime. Il non percepirsi all’altezza, sul posto di lavoro, a scuola, sui social network, è un sentire sempre più diffuso nella società in cui viviamo, un comune denominatore, che interessa moltissimi ambiti in questa epoca storica.

La tendenza è quella di guardare altrove, di distrarsi per non fare i conti con ciò che si è, tanto spiritualmente quanto fisicamente. I filtri di bellezza restituiscono un’immagine di sé che è altro rispetto alla realtà. Lo schermo in cui ci vediamo proiettati consola le insicurezze e aumenta l’autostima. Nel momento in cui esso si spegne, però, rimaniamo soli con noi stessi. Guai a spegnerlo! Non sia mai che capiti l’occasione di indagare sulla radice delle nostre insicurezze e sul motivo per cui ci interessa così tanto il nostro aspetto fisico. Fare i conti con sé stessi è diventato sempre più difficile e la società ne risente parecchio perché ciò che produce sono individui senza valori oltre a quelli che interessano la superficialità. Depressione, disturbi alimentari, ansia sociale sono solo alcune delle conseguenze di questa tendenza che ripudia valori quali l’intelligenza, l’educazione, l’introspezione, il pensiero critico.

Oltre a questioni di natura etica, ce ne sono diverse di natura economica, a cui di sicuro la società Meta presta maggiore attenzione a discapito delle riflessioni morali. Per dirne solo una, l’azienda di Zuckerberg detiene un vero e proprio monopolio di filtri e tecnologie di intelligenza artificiale e, solo nel 2024, ha investito 35 miliardi di dollari in prodotti di questo tipo. Dunque non un’occasione per mettere in discussione i valori di cui si fa promotrice, bensì un ulteriore strategia per capitalizzare il più possibile e non avere alcuna concorrenza nel settore dell’intelligenza artificiale impiegata all’interno dei social network.

05:24

Paolo Crepet al TG

Telegiornale 13.01.2025, 20:00

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