Le feste invernali per me sono contemporaneamente il periodo più bello e più brutto dell’anno. Adoro da sempre l’atmosfera, le decorazioni, il freddo, le lucine, il cibo speziato, l’idea di stare in casa a sorseggiare tè e chiacchierare con le persone che amo, i regali, la tombola. Ma il Natale e tutto quello che c’è intorno, per me, non è solo questo. A chi mi conosce dico che le dimensioni del mio albero – decorato con tanta cura, ogni oggetto appeso ha una storia – sono direttamente proporzionali ai miei traumi relativi a questa giornata. È alto due metri e dieci centimetri. Ma se avessi potuto lo avrei preso anche più grande.
Le Feste coi nonni: Nonno Franco e Sandra
Millestorie 27.12.2024, 12:00
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Sono consapevole che carico il 25 dicembre di un significato simbolico talmente enorme che diventa quasi impossibile uscirne indenne. Ma non credo di essere la sola a farlo.
Per me, le feste fanno emergere tutta la fragilità del concetto di “famiglia tradizionale”. L’ho ripudiato da tempo, complice anche diventare vedova precocemente e inaspettatamente. Ma mi scontro ogni anno con il fatto di essere in minoranza, in questa società mediterranea e cattolica. Intorno a me, chiunque si sente in dovere di trascorrere le festività con la propria famiglia d’origine: è così che si è sempre fatto, è così che si fa. Ma conosco davvero pochissime persone che sono autenticamente felici di trascorrerle (solo) con i propri parenti di sangue. Perché la famiglia d’origine è spesso fonte di traumi che non vengono affrontati, ma che si ripresentano a ogni occasione comandata. “Nonostante le prove schiaccianti del contrario, continuiamo a credere che la famiglia sia la scuola primaria dell’amore. Chi non impara ad amare in famiglia è spinto a cercare l’amore nelle relazioni romantiche. Tuttavia, questo amore spesso ci sfugge. E passiamo una vita a cercare di riparare i danni causati dalla crudeltà, dalla negligenza e da ogni forma di mancanza d’amore vissuta nella famiglia d’origine e in relazioni in cui, semplicemente, non sapevamo cosa fare”, nota bell hooks in All About Love. New Visions (William Morrow, 2018).
A dicembre, divampa il conflitto – interiore e spesso esteriorizzato, con discussioni e litigi: passare le feste con le persone con cui si vive quotidianamente, che si scelgono trecentosessantaquattro giorni l’anno, o con quelle che ci si sente in dovere di frequentare un giorno l’anno, a Natale? Spesso si finisce per trascorrere la festa che più dovrebbe celebrare i legami famigliari lontano proprio da quelle persone che costituiscono la propria famiglia di fatto, la propria famiglia scelta: partner, amicizie, altri tipi di legami ibridi, non codificati e non codificabili.
Del resto, se cerchiamo di emanciparci da questa usanza, spesso subiamo ricatti emotivi, ritorsioni, esclusioni dalle decisioni importanti – salute, cura, finanze. È difficilissimo sottrarsi a questa dinamica.
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E quindi ci si trova in confinamento al “tavolo dei bambini” a quarant’anni suonati, vittime di una concezione gerarchica, ageista e sessista dei legami famigliari. In balia di parenti dalle visioni etiche e politiche lontanissime dalle proprie. Ostaggi di un’immagine di sé adolescente che nessuna persona in famiglia si è presa la briga di far crescere. Costretti a frequentare legami di sangue con i quali ci sono stati ciclici allontanamenti e riavvicinamenti, in bilico tra la necessità di autopreservarsi e la pressione sociale di mantenere un rapporto con loro. In inglese esiste una parola per definire questa condizione: “estrangement”, che si può tradurre grossomodo come “alienazione” o “allontanamento”. Per la psicologa Caterina Appia, “l’assenza di questa parola nella nostra lingua rispecchia l’assenza di questo argomento da qualsiasi dibattito o conversazione”. E continua: “è un tabù, perché va a smontare tutta una serie di miti che circondano i legami di sangue: che siano eterni, che nulla possa spezzarli, che si mantengano anche quando mancano rispetto e cura da una delle due parti”.
Le feste in famiglia (d’origine) sono spesso anche l’occasione per rivivere lutti, reali o metaforici: assenze palpabili, non detti che occupano più spazio delle parole, progetti infranti, rimpianti inconsolabili.
E quindi, perché ogni anno sottoporsi alla stessa tortura? Perché permettere che l’abitudine e la pressione sociale abbiano un impatto così grande sulle nostre vite, e su quelle delle persone che ci sono famiglia tutto il resto del tempo?
Forse è tempo di ridefinire cosa significhi davvero “famiglia”. Le feste non dovrebbero essere un campo di battaglia emotivo o un test di resistenza a dinamiche disfunzionali, ma un momento per celebrare i legami che ci fanno sentire bene, indipendentemente da dove provengano. Scegliere con chi condividere il nostro tempo non è egoismo, ma un atto di cura verso di noi e chi ci è vicino. Forse il primo passo per vivere le feste con più serenità è iniziare a chiederci: quali relazioni vogliamo coltivare sotto il nostro albero? E soprattutto, chi ci fa sentire davvero a casa?
SEIDISERA del 29.12.2024: Il servizio di Camilla Luzzani e Cristina Zamboni sulle vacanze di Natale dei ticinesi
RSI Cultura 29.12.2024, 18:00
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