È la seconda volta che incontro Anna, spinta dalla curiosità verso le possibilità di sviluppo della voce e affascinata dal potenziale liberatorio di questo mezzo espressivo. Perché, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la voce non è solo “ciò che emerge dal collo in su”, come mi spiegherà più avanti. Per questo nel vocal coaching si lavora sulla liberazione e sulla consapevolezza di tutte le parti del corpo e sull’immaginazione, che contribuisce a veicolare e arricchire il suono. Il canto, in particolare, è un’attività fisica e psichica che agisce su più livelli: fisiologico, psicologico e sociale.
Dopo l’esperienza di un laboratorio vocale, sperimento una sessione individuale. È l’occasione per approfondire con Anna il suo approccio da un punto di vista arte-terapeutico e per comprendere come il suo percorso lo abbia plasmato. Perché Anna Kiskanç è molto più di una coach vocale: regista, attrice, cantante e formatrice teatrale, ha fatto della voce e del movimento il filo conduttore della sua ricerca espressiva. Attualmente, tra le sue collaborazioni musicali spiccano tra le altre quella nel Balcan Oriental Trio, dove insieme a Goran Stojadinovic e Ilir Kryekurti, le radici curde di Anna incontrano i ritmi folkloristici balcanici in un connubio spumeggiante di folk, jazz e funky. Dal 2024 è anche una delle voci del La Combi, storica formazione ticinese che si ispira alle musiche popolari dell’America latina.
Parole tra le righe - radici
Tra le righe 07.10.2024, 14:30
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La sessione di coaching vocale si apre con un primo momento di presa di contatto con il corpo. In una serie di esercizi di rilassamento muscolare, i movimenti accompagnano il respiro, che si fa più profondo e regolare. La voce si risveglia con l’espirazione e si trasforma in vibrazione grazie all’emissione del suono attraverso le labbra chiuse, fino a evolversi nelle vocali, sempre più nitide. Gradualmente, si inizia a percepire il movimento del diaframma. Per chi non ne ha mai fatto esperienza, è solo l’inizio di una scoperta delle proprie possibilità espressive e dei benefici che l’accompagnano. Un percorso basato sui profondi legami tra il corpo, il movimento e la voce che per Anna è innanzitutto un cammino di vita: da un primo approccio alle arti sceniche con la danza classica, all’esperienza come corista dello storico gruppo reggae ticinese degli ABC, fino allo studio del canto jazz, del teatro fisico e della drammaterapia. Un’evoluzione artistica che oggi si traduce in diversi progetti teatrali e musicali e iniziative a sfondo sociale.
La sua ricerca matura durante gli studi all’Accademia Dimitri di Verscio, quando l’esperienza del canto si unisce a quella del teatro fisico. È allora, spiega Anna, che «è nato il desiderio di guidare le persone attraverso la consapevolezza della voce a conoscersi di più e a sviluppare il proprio essere nel mondo in maniera serena».
Permettersi di essere, di esserci
Anna Kiskanç
Emettere la voce nello spazio ha prima di tutto un significato metaforico, quello di permettere al mondo di essere ascoltati: «Permettersi di essere, di esserci», riassume Anna, perché equivale a «prendere spazio attraverso qualcosa che nasce dentro di sé. Il suono è qualcosa di molto fisico che poi però trova spazio all’esterno».
Dopo una specializzazione in drammaterapia presso la Universidad de Chile, di ritorno in Svizzera, nasce il desiderio di dare vita a dei progetti in questa direzione: «Sentivo la necessità di sviluppare qualcosa di mio e di lavorare con il teatro, la voce e il movimento in diversi ambiti sociali ed educativi». Il lavoro di Anna sulla voce è infatti molto ampio: il suo approccio si rivolge anche ai docenti come supporto alla didattica in classe o, nel caso di alcuni workshop, al lavoro di speakeraggio. Nei laboratori, un connubio tra movimento, recitazione e canto mette in luce il potenziale della voce come mezzo di riappropriazione di sé, come nel caso di “Incantiamoci - coro femminile tra le culture”, un progetto rivolto alle donne dal passato migratorio e non solo. «Nel processo creativo dell’avvicinarsi alla propria voce» racconta Anna con un sorriso, «vedo le partecipanti ritrovare la fiducia nelle proprie potenzialità». Si attivano dei meccanismi che rinforzano l’autostima: «Il processo di creazione collettiva scatena un proiettarsi verso: si ingrana un motore che spinge a dirsi “se ce l’ho fatta a cantare, pur non avendolo mai fatto prima, ce la farò a fare anche altre cose”». L’impatto è maggiore soprattutto nel lavoro corale, dove è possibile fare esperienza del non-giudizio: «Prima di tutto nei confronti di sé stessi, ma è qualcosa che avviene più velocemente in gruppo, quando si percepisce che non c’è giudizio dall’esterno». Malgrado la sua formazione, in questi progetti Anna non usa la parola “terapia” perché «l’aspetto terapeutico è intrinseco dell’arte», come tiene a sottolineare.
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Serata di presentazione del progetto "Incantiamoci - coro femminile tra le culture"
Il canto è uno dei primi mezzi espressivi dell’essere umano, del bambino, in grado di coinvolgere intere comunità e culture - basti pensare alle radici del blues. Ed è l’unica espressione musicale in cui il corpo dell’esecutore è al tempo stesso il suo strumento; per questo il suo impatto è così forte. «Faccio spesso questo parallelismo: noi siamo uno strumento che dobbiamo conoscere. Ci sono alcuni esercizi che ci permettono di capire che siamo una cassa di risonanza fatta di tanti spazi, molto complessa. E nello stesso tempo» continua Anna «siamo esseri umani con delle emozioni; il suono dentro di noi smuove tante cose». Per questo il canto ci appartiene: «È qualcosa di insito in noi, molto arcaico, antico, come la danza». Proprio come nella danza, si tratta di raggiungere «un equilibrio a livello fisico tra tensione e rilassamento, è un lavoro sulla consapevolezza del corpo, tra l’essere radicati e al contempo leggeri, un lavoro di contrasti e sugli opposti».
A ispirare Anna è stato anche il metodo Feldenkreis, che mira alla riabilitazione del sistema muscolo-scheletrico tramite movimenti lenti e controllati, volti a migliorare la postura, la coordinazione e a ridurre le tensioni. «Si tratta di un metodo di auto-rilassamento guidato, sviluppato in seguito da Kristin Linklater, che ha unito il metodo Feldenkreis alle tecniche attoriali sull’utilizzo dello spazio, per stimolare le persone a liberare la voce». Dai vari metodi, prosegue Anna, «si può attingere e modificare, riuscendo a raggiungere le persone in diversi contesti di vulnerabilità e fragilità; come un centro psichiatrico, un carcere o nell’ambito delle dipendenze, ma anche in ambito educativo, dove ci sono difficoltà di apprendimento. Ma anche qualsiasi persona che voglia avvicinarsi a questo strumento». La voce, riscoperta, si rivela dunque una scuola di conoscenza di sé, dove ritrovare il proprio posto nel mondo e sperimentare, nell’incontro con l’altro, un sentimento di integrazione. Un mezzo espressivo insito nella natura umana e accessibile a tutti anche perché, come sottolinea Anna, «nessuno è stonato, siamo tutti predisposti a cantare».
La voce
Geronimo 17.05.2022, 11:35
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