Società

Si chiama patriarcato

La parola che fa ancora incredibilmente scandalo 

  • 24 novembre 2023, 19:18
patriarcato

California, 4 luglio 2022

  • Keystone
Di: Valentina Mira

Si torna a parlare e a scrivere di patriarcato.
In Italia, a ridosso della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, la giovane Elena Cecchettin, costringe le redazioni e i giornali a utilizzare una delle parole più rimosse della storia del giornalismo.
Michela Murgia (Stai zitta, Einaudi, 2021) diceva che se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. Uccide dunque anche il linguaggio. Con le parole, diceva Murgia, si fanno sparire le donne dai luoghi pubblici, dai dibattiti, dalle notizie.
Se continuiamo a chiamare la nostra avvocata avvocato, oltre a fare un errore di grammatica, neghiamo il fatto che a fare quel lavoro è proprio una donna. E finalmente, essendo che la prima avvocata donna italiana è stata ammessa (malvolentieri) all’esercizio dell’avvocatura solo 140 anni fa.

Le parole uccidono e incatenano le donne oggi più di ieri, verrebbe da dire, soprattutto se, come continua incredibilmente ad accadere, la parola che raccoglie nel suo senso ultimo tutte le diverse forme di violenze di genere, viene rimossa dal vocabolario di chi la violenza di genere la deve raccontare e condannare. Viene rimossa dai libri di storia, nei tribunali, nelle trasmissioni televisive e sui giornali. Ma una ragazza, dopo l’uccisione violenta e ingiusta della sorella, ci costringe a riutilizzarla, a capirla e a spiegarla.


Lo sfogo di Elena Cecchettin davanti alle telecamere delle televisioni italiane ha creato una cesura nella narrazione della violenza sulle donne e ha costretto tutte e tutti: opinione pubblica e giornalisti a tirare fuori dagli armadi un significante rimosso quanto il suo significato e dunque l’universo che rappresenta e che è presente attorno a noi ingabbiando tutte e tutti. Nelle nostre case, nel posto di lavoro, nelle redazioni (che a ruota libera continuano ancora incredibilmente ad indugiare su narrazioni morbose e stigmatizzazioni sessuali).

 L’effetto del sottrarsi alla narrazione della vittima piangente e madonnale di Elena Cecchettin in questi giorni, o della giustizialista manettara - l’aver invece incanalato ogni energia dentro a parole dritte come lame, chirurgicamente esatte, col pudore lucido, fiero, dignitoso e autoimposto di chi è troppo consapevole del mondo in cui vive per lasciarsi andare in pubblico - l’effetto, insomma, di ciò che ha detto Elena Cecchettin è stato dirompente. Non solo dalla parte che da sempre lotta contro il patriarcato che lei nomina, ma soprattutto dalla parte opposta. Tale è il timore prodotto dalle sue parole, che si è addirittura riesumata la categoria della strega.

Questo articolo proverà a seguire l’esempio di Elena Cecchettin: resterà lucido laddove la controparte riscopre a voce alta la sua voglia di bruciare streghe inesistenti, e porterà dei dati e delle definizioni. Benché sia intrinseca la violenza di un sistema che chiede continuamente alle persone che opprime di raccontare perché e per come vengano oppresse, con tanto di dati.

Partendo dalle basi, si intende per patriarcato, seguendo una definizione che ne dà Öcalan ne La rivoluzione delle donne, un’alleanza di poteri: temporale, spirituale, militare. Öcalan è un uomo. Capiamo che la lotta contro il patriarcato raccontata come una guerra tra donne e uomini è la prima bugia che passa indisturbata nei media.
Se il femminismo non è una becera lotta tra generi, che lotta è?
Di cosa è fatto il patriarcato?

In questo articolo ci soffermeremo sulla violenza maschile. Partiamo dal primo dato: il 96% degli omicidi è commesso da uomini. Le vittime sono donne, persone trans, e anche molti uomini. Gli stessi uomini non solo uccidono molto di più (96% contro 4%), ma si suicidano anche molto di più. Per non parlare dei morti in guerra e di quelli sul lavoro. Sono gli uomini i primi a doversi ribellare agli altri uomini, quelli che occupano la maggior parte dei posti di potere.
Conoscendo la controparte, si dovrà documentare anche quest’ultima affermazione, per molte persone autoevidente. In ogni caso: su 193 Paesi al mondo, solo 19 hanno una donna come capo del governo. E questo si rispecchia nelle redazioni dei giornali: nell’Unione Europea le donne nei media sono solo il 21%. Per i meno informati e volenterosi di osservare il mondo che li circonda: le donne sono la maggioranza, nella realtà, precisamente il 52%.
Una maggioranza trattata da minoranza.

Le tracce di potere sbilanciato tra generi sono chiare anche quando parliamo di altre forme di violenza - diciamolo, a questo punto, senza vergogna - patriarcale. Dati Istat 2017: in Italia ci sono 11 denunce per stupro al giorno, il 90% degli stupri non è denunciato (dato, quest’ultimo, identico a quello mondiale). Per cui, ogni anno, in Italia ci sono circa 40150 stupri, di cui 4015 denunciati. 9 su 10 sono denunciati da donne. Nonostante la vulgata che giustifica gli stupratori, quest’anno in Italia perpetrata dalle più alte cariche dello Stato, a stuprare non è l’alcol. Le persone con disabilità hanno il doppio di possibilità di essere violentate, il 10% contro il 4,7%. Non è perché portano più spesso le minigonne. Non è perché bevono di più. È perché lo stupro è un atto di potere, commesso da qualcuno perché può farlo e lo sa. Quasi sempre senza conseguenze per se stesso.

Come mai il 90% degli stupri non viene denunciato? La risposta è complessa, ma si cercherà di renderla comprensibile. La risposta è, in effetti, lo stesso sistema patriarcale. Che, come lucidamente scrive Öcalan, è fatto di poteri differenti. Quello giuridico: nel 2021 la Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) ha condannato l’Italia perché rivittimizza quelle poche che osano denunciare una violenza sessuale. (La domanda “perché non denunciate?” risulta un po’ più peregrina, probabilmente, ora). Il secondo potere è quello militare: le forze dell’ordine. Per farsi un’idea del rapporto tra violenza patriarcale e forze dell’ordine in Italia oggi c’è una nuova fonte, che merita una citazione perché ha una sua comicità, pur nella tragedia. L’account Instagram della Polizia di Stato ha da pochi giorni condiviso, con una grafica romantica e un po’ frufrù, una citazione da un testo infuocato del 2011, della cilena Cristina Torre Cáceres.
Quel testo è legato a Ni Una Menos, movimento che com’è noto nasce avverso alle forze di polizia e proprio a seguito di abusi imperdonabili da parte delle stesse, in Sudamerica e nel mondo. Sotto al suddetto post ci sono migliaia di commenti di donne che parlano del loro aver provato a rivolgersi alla Polizia di Stato e di essere state ignorate o trattate in maniera abusante. Un post che sembrava solo pinkwashing diventa un’autodenuncia. E soprattutto l’evidenza della lacuna: a chi denunci le persone a cui di solito si fanno le denunce?
Quis custodiet custodes?
Perché non si denuncia in così tanti casi, ricapitolando: per via di un sistema ostile. Questo sistema è giuridico, militare, ma anche giornalistico, culturale, in definitiva sociale.

Parliamo di femminismo al LiLu2

Michel Galati 03.04.2023, 10:00

È impossibile sintetizzare in un solo articolo cosa sia il patriarcato, e riportare ogni singolo dato. Non è un caso che Il secondo sesso di Simone de Beauvoir fosse un tomo di più di 1000 pagine.
Il patriarcato è un sistema di oppressione millenario, ben più antico del capitalismo. Tuttavia con esso s’interseca e rafforza, come all’oppressione delle persone razzializzate e di quelle con disabilità. S’interseca anche e soprattutto con lo sfruttamento dell’ecosistema. Quello stesso sfruttamento che ha fatto sì che nel 2015 a vincere il premio Pulitzer fosse La sesta estinzione, saggio-inchiesta di Elizabeth Kolbert che dimostra come dopo la quinta estinzione (la più famosa, quella dei dinosauri), stiamo andando verso la sesta, e la sesta è quella degli esseri umani.
Questo è il patriarcato.
Non un’accusa cieca della categoria “donne” alla categoria “uomini”, ma un sistema di sfruttamento che fa sì che Oxfam ogni anno confermi il seguente dato: l’1% della popolazione mondiale che detiene, da solo, quanto il restante 99% in termini di ricchezza.

La lotta al patriarcato, così come configurata dal movimento Ni Una Menos è la lotta del 99% contro l’1%.
Chiamando strega Elena Cecchettin si sta solo togliendo il velo sulla retorica maschilista post-MeToo, cioè quella per cui denunciare le molestie negli ambienti di lavoro corrisponderebbe non all’esercizio dei propri diritti ma a una caccia alle streghe.
Quell’abile retorica che ha provato a pervertire la realtà ora è nuda e finalmente smascherata. Nessun molestatore è mai stato additato come strega. Ancora e sempre succede a chi rompe il silenzio.
Il bullismo mediatico sulla fiera sorella di una donna uccisa non andrà a buon fine: stavolta, le streghe in piazza saranno marea.

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