Un altro terremoto si è abbattuto sul sistema calcio (per ora sembra solo su quello italiano). Giocatori intenti a spendere e perdere enormi somme di denaro su siti di scommesse illegali, contravvenendo allo stesso tempo alla legge e ai regolamenti sportivi. Giovani, famosi, talentuosi, i nomi dei calciatori di squadre di prima fascia coinvolti sono, sicuramente, un pessimo spot per chi ancora dello sport fa una questione di sincera e onesta passione. Lo status di “ricchi (e viziati)” dei giocatori in questione, poi, rende il tutto facilmente catalogabile come uno schiaffo in faccia alla miseria per l’opinione pubblica. Ma, forse, il racconto che si sta facendo di questo caso è anche semplicisticamente e eccessivamente paternalista. Vediamo perché.
La narrazione che oggi si sta dando di un momento sicuramente non bello del movimento calcistico italiano è cosparsa di un sedicente voyeurismo che stona da più punti di vista. Complice, sicuramente, la macchina che si è messa in moto della caccia a chi prima dice il prossimo nome, neanche fossimo alle nomination di un reality show. Amplificato da un contesto ipermediatizzato, in cui ogni canale comunicativo parla sugli altri e su stesso, il gioco (perdonate il termine) sfugge di mano e non permette una visione e un’analisi complessa di un fenomeno che deve andare al di là dello stereotipo del calciatore menefreghista e arrogante.
Già, perché oggi nello sport l’argomento “scommesse” non solo è sdoganato, ma è parte integrante del sistema. Sponsor, momenti dedicati nelle trasmissioni sportive, statistiche ad hoc per chi è interessato al gioco d’azzardo sportivo, sono diventati protagonisti dello spettacolo calcio. E, qui, si potrebbe tranquillamente (ma forse non così tanto tranquillamente) osservare che laddove c’è legalità, il problema non sussiste. Il tutto è controllato, o perlomeno controllabile. La questione, insomma, andrebbe posta sull’illegalità delle piattaforme e il loro sfuggire alle norme vigenti.
Ma ritorniamo su quello che prima abbiamo definito pensiero complesso. Siamo sicuri che il mondo delle scommesse sia qualcosa che messo ben in vista e regolamentato sia poi così controllabile? La domanda sorge spontanea soprattutto considerando (e questa non vuole essere in alcun modo una scusante) chi ormai cresce dai settori giovanili circondato e accerchiato da sigle, domini, app, quote e statistiche che non solo sono facilmente reperibili, ma addirittura sono un complemento onnipresente del mondo in cui un giovane sportivo viene catapultato. In un’intervista il giocatore del Bayern Alphonso Boyle Davies, a questo proposito, ha sollevato un interessante problematica per quel che riguarda i calciatori: parafrasandolo, Davies enfatizzava il fatto che sì faceva parte di un’élite di ricchi sportivi, ma che nel suo tempo libero si trovava in una città sconosciuta senza amici, famigliari e con un senso di solitudine sovrastante. Una gabbia dorata rimane pur sempre una gabbia, verrebbe quasi da dire.
https://www.rsi.ch/s/1811390
Un po’ di numeri e dati
Guardando in casa nostra, consultando il sito della Confederazione scopriamo che il 70% degli svizzeri dichiara di aver giocato almeno una volta, sulla popolazione di età superiore ai 15 anni parliamo di 4,4 milioni di persone. Il 2,9% di essi aveva un comportamento a rischio e uno 0.2% presentava sintomi patologici. Parliamo di circa 130mila persone in tutta la Svizzera. Questi dati si riferiscono al 2017.
Prendendo in esame un altro studio elvetico, quello di Addiction Suisse, invece, possiamo notare come i giocatori problematici dal 2018 al 2021 siano passati dal 2,3% al 5,2% e che “la dimensione legale dell’offerta e gli sforzi di marketing molto significativi della nuova offerta sono stati descritti da alcuni partecipanti come fattori predominanti nell’avvio (o nella sperimentazione) dei giochi d’azzardo online”. Inoltre, “elementi legati all’ubiquità del mezzo (molteplici piattaforme di gioco d’azzardo online) e alle nuove tecnologie (smartphone, tablet, computer, ecc.) e alla disponibilità permanente dell’offerta (24 ore su 24, 7 giorni su 7) sono stati descritti come elementi che amplificano le dinamiche di integrazione delle pratiche di gioco d’azzardo online, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, nella vita quotidiana dei giocatori e delle giocatrici”.
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia i giocatori sono il 36,4% e il 3% di essi fa parte della categoria “giocatori a rischio”. Nel merito si è espresso recentemente il CNCA, il Coordinamento Nazionale Comunita’ di Accoglienza, una federazione a cui aderiscono 260 organizzazioni che si occupano di emarginazione sociale, denunciando che gli italiani ludopatici sono 1milione e duecentomila. Nel solo 2021, secondo un comunicato stampa dell’associazione, nella fascia d’età 18/24 anni, sono stati aperti 1.360.000 conti di gioco, a cui vanno aggiunti, nella stessa fascia d’età, altri 1.816.000 conti di gioco già attivi. Insomma, il problema è “la roboante offerta d’azzardo esistente, sia sulle piattaforme illegali che su quelle legali, dove ci si ammala alla stessa maniera”. Roberto Di Martino, procuratore di Cremona che nel 2011 condusse un’indagine che portò decine e decine di giocatori nel registro degli indagati per combine e scommesse, in una recente intervista per la Gazzetta dello Sport, ha dichiarato che la percentuale di calciatori professionisti scommettitori incalliti si aggira intorno al 70%.
Una ricerca che ha avuto una notevole risonanza nel mondo del calcio inglese, è stata quella dell’Università di Bath in Gran Bretagna del 2019. Secondo lo studio, portato avanti da Darragh McGee, per i giovani britannici la “passione per il calcio” veniva identificata con la “passione per il gioco d’azzardo sul calcio”. Addirittura, dal campione preso in esame, veniva considerato meglio del sesso e della droga. Uno scenario che all’epoca ebbe una grande eco nel calcio inglese, meno nel resto d’Europa.
Questione di sensibilizzazione
Se sul piano legale, scommettere è lecito, la questione dell’attrazione verso ciò che può sfociare in una dipendenza dovrebbe coinvolgere attivamente (e in parte lo fa) ogni società sportiva che si prende carico del benessere fisico e mentale di giovani futuri professionisti. E in effetti, esistono corsi e attività di sensibilizzazione in questo senso, anche se forse, vista la cronaca recente, bisognerebbe chiedersi se si faccia davvero abbastanza in questo senso.
In un noto podcast italiano, l’avvocato Paco d’Onofrio, coordinatore del Corso di Laurea in Management delle attività sportiva presso l’Università di Bologna, ha ribadito la necessità di una maggiore presenza in questo senso da parte dei club, citando l’Inter come esempio virtuoso, ma denunciando lacune sia a livello federale che societario.
Un buon esempio è il “Rookie Transition Program” messo in piedi dall’NBA dal 1986. Un vero e proprio piano di formazione per fornire agli atleti che si affacciano al mondo professionistico del basket americano strumenti per gestire fama e denaro. Si tratta di seminari obbligatori che riscuotono un grande successo tra i giocatori: le “materie” insegnate vanno dal fair play in campo a rudimenti di finanza, dall’educazione sessuale alle testimonianze di atleti con trascorsi problematici e difficili.
Di ludopatia e scommesse
Per il momento, sembra che la situazione dei giocatori coinvolti nel caso in Italia stia procedendo con una metodologia più orientata al recupero che alla punizione. Nicolò Fagioli, giocatore della Juve, ha già patteggiato per una squalifica di 12 mesi, di cui cinque da scontare come testimonial in scuole e settori giovanili. Una pena leggermente superiore sarà quella che dovrà affrontare Sandro Tonali, a causa delle scommesse effettuate sulla sua squadra (sempre a vincere), all’epoca il Milan. In attesa di scoprire quale sarà la squalifica di Nicolò Zaniolo e l’eventuale emergere di altri indagati, un quesito a noi sorge abbastanza spontaneo. Il clima di indignazione popolar sportivo intorno ai giocatori è davvero quello che (ci) serve? Forse, è un po’ come guardare il dito che indica la luna. Il sistema calcio è diventato una potentissima macchina da (e mangia) soldi e le sue derive (compresa la galoppante disaffezione da parte del pubblico) sono legate inesorabilmente a questa dimensione (che è pur fondante della sua esistenza e della sua mole attualmente).
Vizio
Cliché Click 29.10.2023, 18:30
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Spero ci permettiate un grande provocazione e che ne cogliate il suo intento dissacrante. Scommesse e calcio è un binomio non recente e che nel passato ha avuto risvolti anche più gravi. Il calcioscommesse, in diversi periodi storici, ha portato a sospensioni e pene gravi perché si trattava di combine, di calciatori che si mettevano d’accordo per perdere e pareggiare in cambio di soldi a favore di scommettitori legati alla malavita. Oggi (almeno, fino a oggi) ciò che è emerso è che i professionisti coinvolti abbiano “semplicemente” scommesso su piattaforme illegali, senza commettere illeciti sportivi. Quindi, il gioco d’azzardo è, possiamo dire, fine a sè stesso: un vortice in cui a rimetterci è sicuramente l’immagine del movimento calcistico, ma è anche (e soprattutto?) una questione di salute mentale, dipendenza, debolezze e ipocrisia. Non è una giustificazione, chi sbaglia è giusto che paghi per quello che ha fatto (secondo le strade ritenute più consone dalla giustizia ordinaria e sportiva), ma il sottofondo di disagio che si percepisce è comunque un elemento che deve essere tenuto in considerazione.
Il rischio è che la ludopatia diventi così una parola vuota, usata senza che ne venga davvero indagato il senso, la portata e il suo impatto (anche) nello sport. In realtà, se lo si guarda attraverso un’altra prospettiva, questo è un caso che dovrebbe sollevare domande importanti sulle vulnerabilità dei giovani talenti, sulle sanzioni e sul ruolo delle società sportive nel proteggerli. E il mondo del pallone, in questo frangente, è colpevole e vittima allo stesso tempo, mostrandosi in tutto e per tutto nel suo essere un sistema ormai fuori controllo: il caso delle scommesse è solo un riflesso di un problema più ampio. E forse sbattere il mostro (o meglio, i mostri vestiti con le rispettive divise di club) in prima pagina non serve a molto, soprattutto se poi il mostro, quello vero, fanno finta tutti di non vederlo.
Serie A, il servizio sul nuovo scandalo calcioscommesse (Info Notte Sport 13.10.2023)
RSI Cultura 13.10.2023, 21:33