Nostalgici del peplum gioite. Cultori dei centurioni con le corazze dagli addominali sagomati esultate. Fan di George Clooney preparatevi pure voi: il New Yorker, esigente rivista degli intellettuali americani, lo ha definito “superb”, eccellente. Andrew Pulver, firma del britannico The Guardian, ritiene che sia
un seguito ideale del capolavoro premiato a Cannes Barton Fink!
Ave, Cesare! dei fratelli Coen è il film d’apertura (fuori concorso, giovedì 11 febbraio) della 66esima Berlinale e promette scintille cinefile. In America è uscito in sordina, con un incasso bassino (11 milioni di $) causato dall’infausta collocazione nello stesso weekend del Super Bowl. Da noi invece è previsto in sala dal 10 marzo, ma i trailer esilaranti che mostrano il rapimento dell’attore-imperatore Baird Whitlock (Clooney) fanno capolino nelle sale e in rete da varie settimane.
Un film che si fa beffe dell’età d’oro di Hollywood
È il tamtam che arriva da chi lo ha già visto, ma nella maniera colta e riverente che i Coen hanno sempre dedicato alla grande tribù del cinema di cui, non va dimenticato, fanno parte in veste di talentuosi pierini.
Eppure nemmeno Ave, Cesare! è sfuggito alla polemica del momento
Quella riassumibile con l’hashtag di twitter
#OscarsSoWhite. È partita come critica degli addetti ai lavori afroamericani nei confronti delle quattro cinquine di attrici e attori nominati per gli
Oscar, dove compaiono solo bianchi caucasici, ma si è presto allargata a una sorta di reprimenda totale nei confronti della scarsa attenzione delle produzioni cinematografiche nei confronti delle minoranze: non solo neri ma anche latinos, asiatici, donne.
Grandi star "pallide" al fianco di Clooney
Il film dei Coen non c’entra con le nomination, ma come molti altri si è così visto rivolgere l’accusa di presentare un cast troppo bianco. I registi del Minnesota non sono rimasti in silenzio e sono intervenuti nel dibattito, definendo le critiche come il pensiero di persone che non hanno idea di come si lavori per fare un film:
“Non stai lì seduto a scrivere una storia e dici sto scrivendo un film che include quattro neri, tre ebrei e un cane – ha spiegato Joel, il maggiore dei due – “non è così che le sceneggiature vengono scritte”.
Alla Berlinale probabilmente queste questioni molto statunitensi non assilleranno più di tanto gli spettatori, che paiono piuttosto speranzosi di suggere con gusto il miele narrativo potentemente ironico che i Coen (Arizona Junior, Fargo, Il grande Lebowski, Non è un paese per vecchi e tanti altri) hanno spesso saputo regalare.
MZ
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