Ciò che probabilmente tutti gli spettatori si chiedono anche prima di vedere il film, il presidente F.D. Roosvelt lo domanda al protagonista in una delle scene iniziali: ma in una guerra dove muoiono milioni di persone lei ritiene che sia sensato occuparsi di salvare le opere d'arte? Il tenente Stout, interpretato da George Clooney, mette ovviamente al primo posto gli esseri umani ma risponde che se si cancellano le conquiste e la storia di una civiltà, quella civiltà smette di esistere e resta la cenere.
Enfatico, come molti passaggi di “Monuments Men”, la nuova regia del divo con casa sul lago di Como, ma anche coraggioso e encomiabile nel scegliere una battaglia per niente glamour legata alla cultura, tema tiepido agli occhi di molti. Non si nega lo sfizio di farlo notare attraverso il film, Clooney, con una scena in particolare: quando la sua squadra speciale di esperti d'arte-soldati, oltre a recuperare nelle miniere tedesche i Michelangelo, i Rembrandt, i maestri fiamminghi trafugati dai nazisti per conto di Hitler, trova cento tonnellate in lingotti d'oro e barili pieni di anelli e denti. Naturalmente anch’essi d’oro. Il picco di attenzione che suscita la scena, così come la successiva bella foto sul giornale che ritrarrà Patton e Eisenhower fieri con il metallo prezioso e poco interessati ai recuperi del patrimonio artistico, distilla il senso dell’operazione.
Anche con Monuments Men, il cinema americano progressista mostra, come ha fatto più volte negli ultimi anni, una singolare propensione per le battaglie “da crisi d’identità”. Un “Argo” che sottolineava l’utilità della CIA, come questo film che prova a ricordare che la differenza tra buoni e cattivi sta nella voglia o meno di razzia, di cancellazione dell’altro in tutte le sue manifestazioni, è come se fossero testimoni di una paese che crede un po’ meno in sé stesso e nel ruolo di garante della giustizia internazionale che da settant’anni si è attribuito. “Siamo i buoni” sembra che a Hollywood sentano il bisogno di dirselo da soli, prima ancora che al pubblico. Magari per i motivi sottolineati dall’ONU nei giorni scorsi, quando ha ringraziato il film di trattare una tematica vivissima e attuale: i Buddha afghani e tanti tesori mediorientali ne sanno qualcosa.
Marco Zucchi
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Il servizio di Marco Zucchi
RSI Info 08.02.2014, 20:21