Quale modo migliore per rappresentare una società sempre più standardizzata e anonima se non usare l’animazione in stop motion di uomini simil robot?
In concorso alla Mostra di Venezia Anomalisa di quel geniaccio di Charlie Kaufman (sceneggiatore di Spike Jonze e Michel Gondry, regista di Synecdoche, New York) insieme a Duke Johnson costruisce un mondo così: persone di pezza con fattezze umane su cui sono visibili le giunture metalliche, i movimenti meccanici e la cui voce è maschile e uguale per tutti eccetto per il protagonista, uno scrittore esperto di customer care in viaggio di lavoro a Cincinnati.
Michael arriva in albergo, sente una voce femminile, la insegue e trova Lisa: l’anomalia che dà il nome al film. L’uomo si innamora subito di lei e del tono dolce della sua voce: per un’infinitesima frazione di tempo si sente finalmente compreso e non solo. I due vanno a letto insieme e li vediamo imbarazzati e dolci in questo primo approccio che ci viene raccontato senza filtri, al punto che il Guardian ha simpaticamente commentato: “Potrebbe diventare il primo film d’animazione vietato ai minori a vincere l’Oscar”.
Quando Michael propone ad Anomalisa di scappare insieme e lei accetta, lui inizia a sentire insieme al suo timbro femminile anche l’altro maschile che hanno tutti, così torna dalla moglie e dal figlio, e alla solitudine abituale.
Con lo scorrere dei 90’ di durata si aprono nello spettatore tante domande, una più interessante dell’altra: la solitudine è inguaribile? Siamo noi ad attribuire agli altri un’identità (che in questo caso coincide con la voce) che ci impedisce di vedere la verità? In una coppia l’amore finisce quando l’altro c’è e non fugge?
Speriamo nel premio Osella alla sceneggiatura per il sempre sottile e ficcante Kaufman o forse, perché no, di vedere il suo omino di pezza percorrere il tappeto rosso per andare a ritirare la Coppa Volpi per il miglior attore.
Francesca Felletti
Il pupazzo protagonista di Anomalisa