Nata in un piccolo villaggio senegalese ai margini del Sahel, Rougui Sow sembrava avere un futuro già tracciato. Separata molto giovane dai genitori che non avevano i mezzi per prendersi cura di lei e tolta dalla scuola, è stata sballottata da una famiglia all’altra come domestica.
Mentre era già promessa a un matrimonio combinato, il suo destino cambia a dieci anni, dopo l’incontro con Carla e Silvano Mossi, impegnati in azioni umanitarie nella regione. Con l’accordo del villaggio e della famiglia biologica, la coppia promette di offrirle una nuova vita in Svizzera e di crescerla come se fosse la loro figlia.
Vent’anni dopo, Rougui Sow ricorda i momenti della sua vita in Ticino. “Ho fatto le elementari e tutta la mia formazione professionale lì. Sono assistente di studio medico. [...] È una parte importante di me”, confida la giovane donna ai microfoni della RTS, che l’ha incontrata a Dakar.
Ritorno in Svizzera (Mise au point, RTS, 23.02.2025)
Espulsa dopo diversi anni
Al di là della sua carriera, la Svizzera rappresenta anche una casa per la senegalese, che ricorda, commossa, quelli che considera i suoi genitori: “La mia adolescenza, le marachelle d’infanzia, le grandi decisioni che ho dovuto prendere quando aspettavo mia figlia... È con loro che ne parlavo, sono stati i primi a essere informati. Ho un amore incondizionato per loro”, spiega.
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Silvano e Carla Mossi (a sinistra) con Rougui (a destra) durante un pasto
Rougui, che non è mai stata ufficialmente adottata, ha trascorso gran parte della sua infanzia immersa nella cultura ticinese, continuando a visitare il Senegal. Da adulta, si è definitivamente stabilita in Valle Morobbia per proseguire i suoi studi.
Nel 2015, una lettera la informa che ha 30 giorni per lasciare il Paese. Per famiglia, amici e colleghi, è uno shock. “È come se avesse dovuto fuggire e lasciare tutto rapidamente”, racconta Fabiana Rovere Balestra, che lavorava nello stesso ospedale. “La direttrice dell’ospedale si era impegnata per far sì che le autorità tornassero sulla loro decisione. Rougui era perfettamente integrata e penso che vedesse la sua vita qui”, aggiunge Stefano Balestra, anch’egli ex collega.
Ricominciare da zero
Quando Silvano Mossi è morto tre anni fa, Rougui voleva venire in Ticino per dire addio a colui che riteneva suo padre. La sua richiesta di visto è stata però rifiutata, le autorità giustificando la loro decisione con una mancanza di affidabilità delle informazioni riportate e “dubbi sulla volontà di lasciare il territorio prima della scadenza del visto”.
Ottenere un visto, anche temporaneo, si è rivelato essere una vera sfida per la senegalese. Ha dovuto ripresentare un dossier e trovare le parole giuste di fronte a un’amministrazione diffidente. Dopo diversi mesi di pratiche, la nuova richiesta viene accettata. Un successo che le ha permesso, dopo dieci anni, di tornare in Svizzera e di riunire tre generazioni - la madre Carla, la figlia Nour e Rougui - sul suolo ticinese.
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Rougui durante una corsa in adolescenza
“Sono quasi tre anni che aspetto questo momento [...] per elaborare il lutto. È duro arrivare a casa sapendo che lui non c’è”, testimonia Rougui, di ritorno in Ticino. “Me ne sono andata in un modo per niente bello. In 30 giorni, ho lasciato tutto: il lavoro, la casa, la mia quotidianità, tutta la mia vita... E ho dovuto ricominciare da zero in un Paese che non conoscevo come la Svizzera all’epoca”.
Al momento della separazione e del ritorno in Senegal, la madre della giovane donna è triste. “Questa volta mi fa male, perché so che è l’ultima volta che la vedo: lei non può venire qui [facilmente] e io non posso più andare in Senegal”, confida Carla. “E poi c’è l’età: oggi sono viva, ma domani, non lo so”.
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SEIDISERA 20.02.2025, 18:00
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