Le scarpe non così “green” di On Running e Roger Federer

La Cloudneo viene promossa come la prima scarpa da corsa nata per essere riciclata. Per verificarlo, RTS ha risalito la sua catena di produzione - E le sorprese non mancano

  • 2 ore fa
Indice
Capitolo 1

Khatasana, India. Il disgusto per una scarpa di plastica

25:04

Le scarpette "verdi" di Federer

Falò 28.01.2025, 20:40

“Un giocatore importante come Roger Federer non dovrebbe indossare queste scarpe. Non si dovrebbe indossare qualcosa che è dannoso per la salute. Bisogna vietarlo”. A migliaia di chilometri dalla Svizzera e dalla star mondiale del tennis, a Khatasana, nello Stato indiano del Gujarat, Vishnubai Patel scopre, sbalordito, che i suoi raccolti alimentano un gigante dello sport.

L’agricoltore pensava di coltivare semi di ricino per rimedi ayurvedici, buoni per il corpo, la mente, il pianeta. Ma è una scarpa da corsa, composta da una plastica a base degli stessi semi di ricino, che la RTS mette nelle sue mani dopo una lunga indagine. Vishnubai Patel è sconvolto, i rifiuti di plastica avvelenano il suo Paese: “Sono disgustato. Sono disgustato perché non è buono. La plastica inquina”.

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Il legame tra questo agricoltore indiano e Roger Federer? Il basilese è azionista e ambasciatore della multinazionale svizzera On Running, un marchio il cui fatturato supera il miliardo. E la scarpa che li unisce è la Cloudneo.

La scarpa è disponibile solo su abbonamento, per garantire la circolarità, spiega la pubblicità. Basta pagare 35 franchi al mese per ricevere la propria Cloudneo, restituirla a On Running per il riciclaggio quando è usurata e riceverne un nuovo paio.

Ma la favola pubblicitaria si è sfilacciata a uno studio attento. La RTS ha raccolto centinaia di documenti online e risalito la catena di produzione globalizzata della Cloudneo, in un’inchiesta trasmessa inizialmente da Temps Présent e poi ripresa da Falò e in questo speciale gran formato digitale.

Nonostante numerose richieste, On Running ha rifiutato qualsiasi intervista e si è limitata a rispondere via e-mail. Roger Federer, contattato tramite la sua fondazione, non ha voluto commentare e ha rimandato la questione all’azienda.

Capitolo due

Marsiglia, Francia. Una fabbrica chimica ad alto rischio

Per creare la sua scarpa virtuosa, On Running si è rivolta a un gigante della petrolchimica: Arkema. I video promozionali dell’azienda francese rivelano questa alleanza. Quelli di On Running dettagliano le prime fasi di produzione della Cloudneo.

Tutto inizia con un seme di ricino, coltivato in India: il “biosourced” della nostra scarpa. Il seme viene macinato in olio, prima di raggiungere Marsiglia per essere trasformato in un polimero sintetico (una plastica), il Rilsan, uno dei componenti principali della scarpa.

Pericolo mortale in città

Questa trasformazione avviene nella fabbrica di Arkema, in città. Il sito è classificato come a rischio massimo in materia industriale. Il pericolo più grande, mortale, deriva da una eventuale fuga di gas pesante (ne serve molto per trasformare il ricino in plastica).

La vita dei residenti è regolata da un piano di prevenzione dei rischi poco rassicurante. A 380 metri dalla fabbrica, ad esempio, incidenti durante la bromurazione possono causare danni irreversibili.

Così, quando Myriam Janin, membro dell’associazione Marseille sans CSR, scopre che uno dei componenti della Cloudneo viene prodotto lì, si insospettisce: “Noi che sappiamo che il piano di prevenzione è fatto proprio a causa del cloro, dell’ammoniaca e soprattutto del bromo, non vedo come si possa parlare di prodotto verde. Se alla base c’è un piccolo elemento vegetale, molti altri prodotti chimici vengono aggiunti”.

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Vivere con la paura di un incidente

Per proteggersi, gli abitanti hanno dovuto installare delle stanze di isolamento. Il centro sociale Les Escourtines, che accoglie bambini, ne possiede due. Ma non rassicurano la sua direttrice Karine Marsiglia: “Anche se siamo in una stanza di isolamento, in caso di incidente, dobbiamo sigillare le finestre (doppio vetro) con del nastro adesivo. Non sono una chimica, ma le parole hanno un valore: siamo in una zona definita come a potenziale rischio letale”.

Stessa storia per Lucien e Annie Calenzo, che vivono a 300 metri dalla fabbrica da 35 anni. Il ricordo dell’esplosione nel 2001 della fabbrica AZF, che ha devastato la città di Tolosa, causando 31 morti e 3000 feriti, li spaventa. Gli incidenti industriali molto gravi sono rari in Francia, ma non inesistenti: l’ultimo in ordine di tempo è stato l’incendio della fabbrica Lubrizol a Rouen nel 2019.

Lucien Calenzo ci fa visitare la sua camera degli ospiti. L’ermeticità lo lascia più che dubbioso: “Un piccolo giunto in schiuma da 3 soldi. Penso che sia una grande presa in giro! Ci prendono in giro. È quasi da ridere. Mettono le nostre vite in pericolo, ma a quanto pare, i soldi sono più importanti”.

Cosa pensa Arkema del rischio umano e ambientale? Impossibile saperlo. L’azienda ha annullato all’ultimo momento un’intervista, su intervento di On Running.

E On Running, è a conoscenza di questi rischi e delle stanze di isolamento? L’azienda rifiuta un’intervista e risponde per iscritto: “Tutti i partner con cui lavoriamo devono rispettare il nostro Codice di condotta dei fornitori”.

Capitolo tre

Cremona, Italia. La fine del sogno. Cloudneo non sembra né circolare, né riciclabile

Arkema ha anche il compito di riciclare la scarpa. Al telefono, il gruppo petrolchimico spiega che l’operazione si svolge a Cremona, nel nord Italia. Le Cloudneo vendute in tutto il mondo dovrebbero quindi convergere vicino alla città lombarda per essere trasformate in nuove scarpe.

Ma quando la RTS chiede di filmare questo riciclaggio, Arkema non risponde. Alla fine, è On Running che, nell’aprile del 2024, fa questa sorprendente ammissione: “Raccogliamo le scarpe e siamo sulla buona strada per iniziare il processo di riciclaggio”. Due anni dopo la commercializzazione della Cloudneo il riciclaggio non era ancora iniziato. L’azienda afferma di aver lanciato una prima operazione di riciclaggio di mille paia di scarpe nel luglio dell’anno scorso.

Il marchio ha persino fatto marcia indietro sulla sua comunicazione. Nell’aprile 2023, la Cloudneo era venduta come “100% riciclabile” nel suo negozio online ufficiale, a giugno 2024 era diventata “riciclabile a oltre il 90%” sulla stessa pagina internet, e oggi è “nata per essere riciclata”. 

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Il parere della scienziata: le plastiche della Cloudneo non sono riciclabili

Cosa dice la scienza? La scarpa sconcerta Nathalie Gontard, specialista del riciclaggio delle plastiche e direttrice di un laboratorio all’INRAE Montpellier, l’Istituto nazionale di ricerca per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente. L’esperta smonta ogni speranza di riciclaggio: “Vorremmo tutti che le nostre plastiche fossero circolari e riciclabili. Ma non sappiamo come riciclarle a costi ambientali ed economici ragionevoli”.

C’è un’eccezione: il PET può essere riciclato, cioè trasformato una volta in un sottoprodotto, come una sedia da giardino, per esempio. Ma questo modello è impossibile da applicare nel caso della Cloudneo, secondo Gontard: “Questo processo di riciclaggio non si applica alle poliammidi, cioè alle plastiche che costituiscono la Cloudneo. In ogni caso non per ora e non nei decenni a venire. Non vediamo bene come potremo risolvere questo problema”.

Di origine biologica non significa biodegradabile

Le pubblicità di On e Arkema alimentano l’idea che il bioplastico alla base della Cloudneo si degraderebbe in natura. Il parallelo tra il ciclo della natura, dove nulla si perde, e il ciclo della scarpa, è assunto.

Ma il termine “bioplastica” può essere problematico, secondo Gontard: “Quando sentiamo il prefisso bio, pensiamo che sia innocuo. Ma con l’intervento umano, l’olio di ricino viene completamente distrutto. E attraverso processi chimici, si ricostituisce un polimero chiamato poliammide, poliestere o altro, che è identico al polimero petrolchimico. Non è più affatto biodegradabile”.

Peggio ancora, durante la corsa, come tutte le scarpe di plastica, la Cloudneo inquinerebbe: “È un’idea sbagliata pensare che la plastica inquini solo quando diventa un rifiuto. Durante la corsa, la scarpa si consuma ed emette microplastiche. Non hanno confini, nulla le ferma e finiscono nei nostri organismi. Le microplastiche si accumulano e causano disturbi di tipo infiammatorio o metabolico”.

Circolare? La Cloudneo inciampa

Rimane la promessa di circolarità. On Running e Arkema ne fanno un argomento centrale. In un video, il gruppo francese esprimeva il suo orgoglio nel produrre la Cloudneo: “Questo progetto sintetizza le migliori soluzioni di Arkema e le buone pratiche in materia di sostenibilità: materiale di origine biologica, eco-design, riciclaggio garantito e ottimizzato, è ciò che chiamiamo economia circolare”.

Non abbastanza per convincere Nathalie Gontard: “On Running parla di ciclo e di circolarità tutto il tempo. Ma per la plastica convenzionale, la circolarità non esiste. Non è un ciclo, ma una catena”. Un processo lineare, quindi, e non circolare.

La circolarità, nella pubblicità di On Running, è questo “Run, Recycle, Repeat”. Tre “R” che si appropriano di un concetto molto più antico, sottolinea Dunia Brunner, specialista dell’economia circolare all’Università di Losanna: “Le 3 R di base sono Refuse, Reduce, Recycle:

-      La prima cosa da fare è Refuse: evitare la produzione di rifiuti. Non producendo, non si spreca.

-      Poi Reduce: si riduce la quantità di rifiuti prodotti e la quantità di risorse utilizzate. Si prende cura degli oggetti, li si riutilizza, li si ripara.

-      E infine, quando non si può più riutilizzare, si arriva a Recycle“.

Cosa dice On Running? La risposta del marchio è quanto meno evasiva: “Siamo sulla strada verso un modello circolare. E l’integrazione delle scarpe Cloudneo nel programma Cyclon segna una prima tappa verso questo cambiamento”.

Capitolo quattro

Long Khánh, Vietnam. Operaie pagate meno del salario minimo di sussistenza

“Made in Vietnam”. Dopo il seme di ricino coltivato in India e trasformato in plastica in Francia, è la piccola etichetta all’interno della Cloudneo che indica la prossima destinazione.

On Running ci tiene a distinguersi con una produzione “socialmente responsabile”, il suo sito lo garantisce: “I nostri produttori si sforzano di andare oltre i requisiti standard. E pensiamo che questo si veda in ogni articolo”.

Per verificarlo, bisogna rintracciare la Cloudneo nell’effervescenza delle innumerevoli fabbriche del Vietnam. Unico indizio: il nome del fornitore, “Pro Well”, è indicato sul sito internet di On Running. Una ricerca su Google Maps rivela una fabbrica a 80 chilometri da Ho Chi Minh City, nella zona industriale di Long Khan. Foto postate sui social confermano che le scarpe On Running sono prodotte lì.

Il Paese è classificato al 174° posto su 180 per la libertà di stampa e gli unici sindacati esistenti sono direttamente legati al potere. Unendo capitalismo e partito unico, il Vietnam si ispira alla ricetta cinese. Risultato: nelle sue zone industriali ben organizzate, una manodopera in cerca di potere d’acquisto e che non si lamenta facilmente. Molti grandi marchi occidentali di tessile e articoli sportivi vi si sono stabiliti.

In questo contesto, bisogna essere discreti per avvicinarsi alla fabbrica. Dopo diversi giorni di discussioni, tre operaie accettano di testimoniare, sotto stretto anonimato. Secondo loro, la fabbrica lavorerebbe esclusivamente per il marchio svizzero. E sebbene si dicano ben trattate, le loro condizioni di lavoro restano dure.

Niente salario di sussistenza per le lavoratrici della Cloudneo

La prima operaia incontrata lavora da tre anni nella fabbrica. Spiega di guadagnare circa 6 milioni di dong come salario base, ovvero 216 franchi al mese. Anche con gli straordinari e gli aiuti per le assicurazioni, questo importo è molto lontano dal salario che permette di mantenere adeguatamente una famiglia: il salario di sussistenza (un reddito calcolato nei paesi a rischio da organismi indipendenti).

Secondo la coalizione asiatica per la lotta contro la povertà, il salario di sussistenza in Vietnam ammonta a 12,5 milioni di dong al mese, circa 450 franchi, che permettono di nutrire una famiglia e coprire i bisogni di base.

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Questa realtà, On Running la conosce. Nel suo rapporto d’impatto 2022, l’azienda si era prefissata l’obiettivo che tutti i dipendenti dei suoi subappaltatori vietnamiti guadagnassero un salario di sussistenza entro il 2025. A quale importo corrisponde e perché aspettare? On Running rinvia nuovamente la sua risposta a più tardi: “stiamo rivedendo i nostri obiettivi e metodologie legati ai salari e forniremo un aggiornamento completo nel nostro prossimo rapporto”.

In fabbrica, 6 giorni su 7 e fino a 10 ore al giorno

Le giornate sono lunghe, il lavoro impegnativo. “Ufficialmente, lavoriamo 8 ore al giorno”, spiega la seconda operaia, e 6 giorni alla settimana. “Se ci sono molte ordinazioni, possiamo fare fino a due ore di straordinario al giorno. Ci piace fare gli straordinari. Se non ce ne sono, le persone non possono guadagnare abbastanza soldi, quindi si scoraggiano e cercano altrove”.

Queste lunghe ore non lasciano comunque spazio agli errori. Gli operai sanno che le scarpe saranno vendute a caro prezzo e devono essere perfette, spiega la terza operaia: “Poiché sono per l’estero, se una scarpa non è ben fatta, tutto il lotto viene restituito. Basta davvero un solo paio per creare problemi. Se si commettono troppi errori, si ricevono diversi avvertimenti e si continua a sbagliare, ci saranno delle penalità da pagare, il che è abbastanza giusto. A seconda della gravità, possono arrivare fino a 200’000 dong o, nei casi più gravi, 500’000 dong”.

Piccoli salari in Vietnam, grandi profitti in Svizzera

Nel gennaio del 2024, la rivista Ktipp ha rivelato il divario enorme tra i modesti salari vietnamiti e gli enormi profitti di On Running. I margini del marchio sarebbero fino a due volte superiori a quelli dei suoi concorrenti su alcuni modelli.

Ad esempio, spiegava Ktipp, il modello “The Roger Advantage” è fabbricato in Vietnam per 18 franchi ma venduto a 190 franchi sul sito del marchio, con un margine di oltre 155 franchi, superiore a quello dei suoi concorrenti.

Indignato, il movimento ecologico Campax, influente nella Svizzera tedesca, ha installato nel febbraio dell’anno scorso un falso Federer insanguinato, davanti a una macchina da cucire, di fronte alla sede di On Running a Zurigo. Per Marc Meschemoser, redattore capo di Ktipp, il silenzio della star è stato scioccante: “Le persone erano sorprese che Federer tollerasse una situazione come questa. Ad esempio, che non intervenisse in Vietnam. Abbiamo confrontato Federer, ma non abbiamo mai ottenuto una risposta da parte sua o del suo management. Ho l’impressione che eviti l’argomento”. Anche la RTS non ha avuto successo.

Capitolo cinque

Zurigo, Svizzera. Concorrenza sleale? L’onere della prova spetta a On Running

La differenza tra le promesse pubblicitarie di On Running e i risultati dell’inchiesta è significativa. Ma un marchio può ingannare il consumatore impunemente?

La questione non è solo morale, è prima di tutto giuridica, spiega Nicolas Bueno, professore di diritto internazionale a Unidistance: “Per tutto ciò che riguarda la pubblicità commerciale, la legge federale sulla concorrenza sleale specifica cosa si può dire o meno. Principalmente, ci sono due cose che non si possono fare: fornire indicazioni che siano o inesatte o fallaci”.

In queste situazioni, può esserci una denuncia penale o un intervento della Commissione Svizzera per la Lealtà, l’organismo di sorveglianza sulla pubblicità. È quello che è successo alla Fifa nel giugno 2023, riconosciuta colpevole di greenwashing per aver affermato che l’ultimo Mondiale di calcio, organizzato in Qatar, era a emissioni zero. Da allora, la Commissione ha emanato una nuova direttiva: un’azienda che afferma pubblicamente di agire per l’ambiente deve essere in grado di dimostrarlo.

“Se la scarpa non è completamente riciclabile mentre la pubblicità dice chiaramente che è completamente riciclabile, si potrebbe trattare di un’informazione inesatta. In questo caso, potrebbe rientrare nella concorrenza sleale”, conclude Nicolas Bueno.

Capitolo sei

Losanna, EPFL. La plastica sostenibile è possibile?

La crisi mondiale dell’inquinamento da plastica ha un impatto devastante sugli ecosistemi, sul clima, sull’economia e sulla salute umana. E questi danni costerebbero caro al pianeta, tra i 300 e i 600 miliardi di dollari all’anno, secondo l’ONU. Peggio ancora, sempre secondo l’ONU, la produzione di plastica potrebbe raddoppiare nei prossimi 20 anni se non vengono prese misure adeguate. Quindi, se la soluzione di On Running non funziona come promesso, come fare altrimenti?

Nel suo laboratorio dell’EPFL, il professor Jeremy Luterbacher e la sua ventina di ricercatori si dedicano da anni allo sviluppo di plastica sostenibile. Ma non è semplice creare un polimero derivato dalle piante che sia allo stesso tempo abbastanza resistente per essere utilizzato, biodegradabile a lungo termine e tutto a un costo accessibile.

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I ricercatori hanno effettivamente prodotto un nylon dalla cellulosa, immaginato per futuri reti da pesca. Ma con un tale prodotto, una scarpa costerebbe più di mille franchi solo in materiale. Impensabile per Luterbacher: “Possiamo creare prodotti tramite start-up del laboratorio, ma constatiamo che se l’unico beneficio di un prodotto è essere più sostenibile, non si riesce a penetrare il mercato. Perché le persone non sono pronte a pagare di più per qualcosa di più sostenibile”.

Contare sulle aziende per sviluppare la plastica sostenibile di domani? Il professore non ci crede. “La vera soluzione non è aspettare che una compagnia faccia le cose perché sono buoni. Sarebbe indurre un sistema in cui, per fare soldi, siano obbligati a fare le cose in modo sostenibile”.

Nel frattempo, la Cloudneo continua a percorrere il globo: 6’300 chilometri dall’India a Marsiglia, poi 10’000 chilometri per arrivare in Vietnam e 9’400 chilometri in media per essere consegnata in 34 paesi. A ciò si aggiungono 2’200 chilometri in media per essere teoricamente riciclata in Italia. Totale: 28’000 chilometri per una scarpa. E questo è solo l’inizio, perché il ciclo dovrebbe continuare.

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Le scarpette "verdi" di Federer

Falò 28.01.2025, 20:40

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A cura di:Corinne Portier, Jean-Marc Chevillard, Inchiesta Temps Présent (RTS)Mathias Délétroz, adattamento web RTSRedazione RSI Info, adattamento web RSI

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