Lo spunto di giornata ci arriva dal Cile. E da quelle tante acque che nel nuovo documentario allegorico di Patricio Guzmán, non lambiscono solo la silhouette costiera del paese, ma diventano il deposito liquido delle sue memorie più scomode. Flutti che collegano, come sulle onde di un eterno ritorno, il genocidio subito dai nativi della Patagonia a quello dei desaparecidos gettati nell’oceano dagli elicotteri durante la dittatura anni ‘70 di Pinochet. Lavori sulla memoria che da sempre sono una delle lenti d’ingrandimento privilegiate alla Berlinale, visto che gli stessi schermi sono impiantati nella capitale europea che più di tutte porta su di sé le stigmate della storia. Con tutto il suo carico di divisioni, distruzioni e innovazioni che restano incistate nel territorio, senza dimenticare quel grande buco della coscienza, la responsabilità dell’Olocausto, con cui la Germania continua a fare i conti. Quest’anno, per dire, si celebrano i dieci anni dalla costruzione di quella vasta scacchiera di stele in calcestruzzo che, poco lontano dalla porta di Brandeburgo e là dove un tempo sorgeva un palazzo di Goebbels, ricorda le vittime della Shoah: il Denkmal für die ermordeten Juden Europas. “Eppure ci sono sempre polemiche” ci confida una delle poliziotte lì a due passi, attenta che i turisti si muovano con riguardo “è da un bel po’ che il monumento avrebbe bisogno di un restauro. L’ideatore del progetto, Peter Eisenmann, l’ha voluto lasciare in uno spazio libero, perché ognuno possa accederci sempre, ma l’effetto è che adesso quella memoria sembra piena di crepe”.
Le crepe che solcano le stele del Memoriale
Tanto più se si pensa che inevitabilmente la memoria non può essere selettiva e i passati ingombranti possono venire a galla anche nei momenti più impensati. “C’era già stato uno scandalo grosso, proprio durante la realizzazione del Denkmal” ci spiega il giornalista freelance Hans, “perché a vincere l’appalto per le vernici protettive delle stele era stata la ditta Degussa, società che ai tempi di Hitler si era resa responsabile della produzione del Zyklon B, il gas letale con cui sono stati mandati a morire milioni di ebrei”. Una memoria, insomma, che combatte un’altra memoria, segno che il campo di battaglia è qualcosa che va avanti anche nel presente.
Il Monumento Nazionale ai Sinti e ai Rom assassinati sotto il regime nazista
Del resto, basta svoltare solo di qualche passo dal Denkmal per ritrovarci in uno dei tanti imbocchi del vasto parco del Tiergarten. Dove assieme al verde pallido dei prati e ai tanti alberi frustati dal gelo della stagione, da qualche anno a questa parte – non senza nuove polemiche – sono spuntati altri memoriali. Dalla fontana circolare dedicata ai Sinti e ai Rom (inaugurata nel 2012) al grande cubo con finestra riservato agli omosessuali (nel 2008). “Queste cose servono per riparare ai danni del nazismo” dice una coppia gay spagnola che sosta davanti al monumento a scattare foto.
Coppia di turisti spagnoli davanti al Memoriale agli omosessuali perseguitati dal nazismo
Ma poco più in là, c’è chi è più severo “ormai questa zona di Berlino si sta trasformando in una sorta di Disneyland della memoria. È un po’ come quelli che si mettono lì con la divisa dell’Armata Rossa e la bandiera con la falce e martello, il rischio è che tutto diventi una semplice attrazione turistica, senza una riflessione più profonda”.
Attrazioni turistiche per uniformi e bandiere vintage
Così, se per alcuni il riattraversamento del lutto della storia è stato fatto solo in superficie, per altri invece l’aver lavorato sui simboli ha permesso di radicare il tutto nella coscienza in maniera più profonda. “Io penso che Berlino, e in particolare “dice ancora Hans ”la Germania non si siano tirate indietro nella loro rilettura della storia. Pensa solo quanti film sul nazismo come La rosa bianca: Sophie Scholl sono passati qui alla Berlinale o pensa anche a quelli che hanno riletto altre pagine scabrose come La Banda Baader Meinhof”. Che è come dire dal cinema si va e si torna, perché se la memoria è una costruzione a continui rimbalzi, anche quelli dentro e fuori uno schermo, nel bene o nel male, non sono mai innocenti.
Lorenzo Buccella
Leggi anche il diario RSI della Berlinale