Il ristorante era sempre quello, il "Mutter Hoppe". Uno dei pochi aperti a Berlino est in quelle fredde sere di novembre. Una carta lunghissima, anche invitante. Ma la cucina preparava un solo piatto: due salsicce accompagnate da cavoli acidi e patate in insalata. Il vino, ungherese, era meglio evitarlo se si voleva prendere sonno la notte.
Il "Mutter Hoppe" era il punto di ritrovo dei pochi giornalisti a cui la DDR aveva concesso il visto d'entrata senza la possibilità di andare e tornare da Berlino ovest. Sembrava una fregatura. Un po' lo era. Ma in quei giorni, forse solo in quei giorni, valeva la pena non farsi tentare dall'ovest e restare nella capitale della Repubblica Democratica Tedesca. Succedevano cose. Ogni giorno.
La sera, oltre a rifare il mondo, tiravamo le somme. Contavamo le teste che erano rotolate giù dal vertice del regime. A inizio ottobre, nel politburo della SED, il partito comunista tedesco orientale, erano in 21. Erano rimasti in undici, e solo quattro quelli sopravvissuti politicamente alla cacciata di Erich Honecker.
Fra di loro Egon Krenz, il giovane delfino del dittatore che avrebbe dovuto diventare il nuovo uomo forte del paese. Leggevamo i nomi dei nuovi, quasi tutti a noi sconosciuti a parte Hans Modrow, il sindaco di Dresda considerato un gorbacioviano, in altre parole un riformatore. E c'era sempre e ancora Günther Schabowski, già direttore del giornale del partito "Neues Deutschland" e ora portavoce del regime.
Quel che resta del comunismo
Ogni sera, in diretta TV, Schabowski annunciava le decisioni prese dai nuovi dirigenti. Modi di comunicazione diversi, più diretti, ma parole sempre avvolte in una cortina di fumo. "Stiamo pensando ad una nuova legge sui viaggi" diceva Schabowski. "Sarà un altro imbroglio" replicavano gli ambienti dell'opposizione, che raccoglievano gli umori di una piazza che gridava "wir sind das Volk", noi cittadini siamo il popolo e non voi che dite di governare in nome nostro ma non lo fate.
In giornata, in uno slancio di generosità dettata dalla confusione, il regime aveva promesso elezioni libere. Sulla carta, una svolta clamorosa. Ma c'era scetticismo e il giorno dopo saremmo andati a raccogliere l'opinione di Barbel Böhley, la pittrice diventata in pochi giorni la figura guida dell'opposizione.
Berlino, novembre 2014
Fuori dal ristorante, Alexanderplatz era avvolta nel suo solito grigio torpore. Camminando verso l'albergo, fra le piante ormai senza foglie del parco, i bronzi austeri di Marx e Engels sembravano persino più grandi.
Berlino 25 anni dopo
Anche loro, qualche ora dopo, sarebbero stati spettatori di un evento che nessuno poteva ancora immaginare.
Reto Ceschi