Le scelte di Donald Trump in materia di gestione dei dazi doganali alla luce dell’imposizione di questi ultimi nei riguardi di Canada e Messico (+25%, ma subito messi in stand-by per un mese) e Cina (+10%, ma pesano ancora quelli che Trump attuò durante la sua prima presidenza) sono l’argomento sulla bocca di tutti, in America come altrove.
La confermata minaccia di fare lo stesso con l’Unione Europea ha del resto messo in allarme pure Bruxelles che ieri, lunedì, ha organizzato un meeting dei capi di Stato e di Governo dei 27 per parlare soprattutto di questo, oltre a temi ricorrenti come gli ultimi sviluppi dell’invasione russa dell’Ucraina.
La situazione intanto non è piaciuta alle borse, che hanno perso terreno a seguito di questa situazione e si moltiplicano gli interrogativi sui futuri passi della nuova amministrazione americana.
Martedì mattina a Modem, commentando l’affermazione del Wall Street Journal di alcuni giorni fa, secondo il quale si tratta della più stupida guerra commerciale della storia con le minacce economiche di Trump contro Paesi alleati, Mario Del Pero, professore di storia internazionale e storia degli Stati Uniti a Sciences Po a Parigi, ha rilevato che “c’è molta teatralità” in questo approccio dell’inquilino della Casa Bianca, che serve a dare più sostanza al “messaggio duro, ruvido di punire anche gli alleati” e al nazionalismo del repubblicano. Quest’ultimo del resto “ha una visione da Realpolitik dove non si distingue tra alleati e nemici e dove si usano tutti gli strumenti disponibili per sanzionare, punire l’interlocutore di turno, usando appunto tali strumenti in modo coercitivo per piegarlo alla sua volontà e ottenere qualcosa in cambio”.
Secondo Del Pero, il “qualcosa sarebbe la promessa messicana e canadese di rafforzare i controlli alla frontiera, il che consente a Trump di proclamare vittoria” e il professore ritiene che così facendo, la base che l’ha portato alla vittoria elettorale “crede che realmente di vittoria si tratti”. Certo è che tale teatralità e tali azioni “performative” non fanno certo bene “alla stabilità di un ordine internazionale e, nella fattispecie, di un ordine regionale nordamericano”.
Il professore rileva che dazi e tariffe piacciono a Trump in quanto può fare “uno sfoggio muscolare funzionale al tipo di politica estera che vuol condurre e soprattutto che vuol narrare e proiettare”.
In merito al concetto espresso da Trump in campagna elettorale e anche in seguito, secondo il quale gli Stati Uniti si fanno fregare dal resto del mondo, gli economisti non concordano e affermano invece che il commercio fa bene a entrambi i partner. Perciò, sulla base di come il presidente Trump ha “messo sul tavolo” i dazi, si può sapere chi vince e chi perde da tali scelte, sapendo che lo stesso politico newyorkese evoca il fatto che i dazi potrebbero essere “dolorosi” anche per gli Stati Uniti.
Gianmarco Ottaviano, professore d’economia politica all’Università Bocconi di Milano ed esperto di commercio internazionale, osserva che a suo avviso Trump ha deciso di attuare i dazi in quanto “gli Stati Uniti si sono indebitati tantissimo con il resto del mondo”, per cui questi deficit commerciali “si traducono in un indebitamento” verso il resto del pianeta.
Il professore della Bocconi rimarca tuttavia la stranezza nel vedere come “un debitore faccia di tutto per mettere in difficoltà sia sé stesso, sia gli altri”. Ottaviano rammenta che “il problema dei dazi è, come stiamo vedendo in queste ore con la reazione di grandi Paesi come la Cina, che alla fine nessuno ottiene niente”, poiché non si ha altro che un’imposizione reciproca di dazi e tariffe doganali, con il risultato che si finisce per stare “peggio di prima”.