Economia e Finanza

UBS balla da sola, ma quante grane

Il colosso bancario, che ha restituito la stampella pubblica, si trova davanti a un trivio di licenziamenti, contenziosi giuridici e doppioni portati in dote da Credit Suisse

  • 12 agosto 2023, 06:51
  • 8 settembre 2023, 13:24
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Attivisti di "Scientist rebellion", loscorso maggio, ripuliscono simbolicamente l'ingresso della sede di UBS in Paradeplatz a Zurigo

  • Keystone
Di: Stefano Pianca

UBS sembra in grado di camminare da sola dopo essersi caricata sulle spalle il peso di Credit Suisse. La notizia, comunicata venerdì della rinuncia immediata alla protezione dalle perdite concordata con la Confederazione e la Banca nazionale svizzera (BNS), ha fatto correre il titolo alla Borsa svizzera.

Ma se l’azione ha rivisto quota 20 franchi, come non accadeva dai giorni precedenti l’acquisizione della rivale, avvenuta il 19 marzo scorso, il sentimento della piazza è che il colosso bancario abbia ancora molta strada da percorrere. E, soprattutto, numerosi sono nodi da sciogliere. Seguiamone il filo.

Le nozze con cura dimagrante

Prima del salvataggio, alla fine del 2022, i due istituti avevano un organico complessivo di 123'000 unità a tempo pieno. Una cifra che si ottiene sommando i 72'600 impieghi, nel mondo, di UBS, ai 50'480 di CS. In Svizzera, invece, il rapporto è di 21'000 dipendenti contro 16'000 per la banca più piccola, che già in autunno di fronte alle difficoltà crescenti aveva annunciato tagli occupazionali.

Se la grande fuga da Credit è iniziata già prima di marzo, la fase attuale è quella più drammatica dei licenziamenti. “È vero che circa il 10% della forza lavoro se n’è già andato negli ultimi mesi prima dell’acquisizione”, ha dichiarato tre settimane fa l’amministratore delegato Sergio Ermotti, fissando in poco più di 48'000 l’organico di CS alla fine del primo trimestre. Ancora a giugno, secondo Reuters, la banca riceveva ogni settimana centinaia di lettere di dimissioni.

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Le nozze hanno comportato inevitabilmente dei doppioni nei campi d’attività in cui si muovono entrambi gli ex concorrenti: dalla gestione patrimoniale, a quella degli asset, all’investment banking. Quest’ultimo è il settore dove verrà impugnata la scure. Non a caso è l’ambito in cui CS si era più profilato con un’elevata propensione al rischio e soprattutto con perdite miliardarie negli ultimi anni, tanto che a giugno il Financial Times riferiva di linee rosse invalicabili (tra cui il divieto di acquisire nuovi clienti ad altro rischio) imposte da UBS ai dipendenti acquisiti dalla controllata.

L’ondata di licenziamenti, scriveva a metà luglio la SonntagsZeitung, dovrebbe scatenarsi a settembre. Per allora dovrebbe avvenire un taglio di 10'000 posti di lavoro in tutto in mondo, seguito da una riduzione di ulteriori 20'000-25’000 impieghi, in questo caso tra il personale di entrambi gli istituti, durante il processo più lungo di assorbimento. Alla fine, secondo il domenicale, il 30% dell’organico verrà tagliato.

Le notizie degli ultimi giorni sembrano anticipare però i tempi. Ad inizio settimana Reuters, commentando le prime informazioni di UBS sulla ristrutturazione della sua unità di investment banking e la nomina dei nuovi responsabili, ha riferito di licenziamenti già effettuati nell’unità di Hong Kong dell’ex numero due bancario elvetico. Secondo un’altra agenzia, Bloomberg, il benservito è stato dato a circa 200 “investment banker”. Si prevede, ha aggiunto dal canto suo Reuters, che non meno dell’80% del personale di questa unità perderà il posto di lavoro. L’ex colonia britannica raggruppa la maggior parte del personale di CS in Asia.

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Le notizie che arrivano dalla periferia dell’impero non lasciano indifferenti in patria: “Finora sono state annunciate le misure a livello internazionale e rimaniamo in attesa di quelle che determineranno il futuro in Svizzera”, ha commentato a metà settimana Franco Citterio, direttore dell’Associazione bancaria ticinese (ABT), sul panorama congiunturale di luglio.

Si è invece spinto un po’ più avanti il portale Inside Paradeplatz (IP), secondo cui la piazza bancaria elvetica si troverà nel prossimo futuro ad avere 30'000 dipendenti in meno. A contribuire alla riduzione dell’organico complessivo, da 110'000 a 80'000, non sarà però solo la fusione UBS-Credit Suisse, ma anche il segnale lanciato da JPMorgan che a Ginevra ha ridotto la propria attività nei family office (ossia nella gestione dei patrimoni di persone facoltose).

Nell’annunciare la riorganizzazione dei quadri UBS ha dichiarato di aver agito “in modo equo” nei confronti degli ex dipendenti di Credit Suisse. In questa operazione, ha rilevato Reuters, potrebbero perdere il posto anche dirigenti della stessa UBS. L’impressione che anche i dipendenti della banca delle tre chiavi non siano al riparo dai tagli è avvalorata da queste notizie.

Il contenzioso delle obbligazioni AT1

Se i dipendenti calano, aumenta invece il numero dei ricorrenti che si sono rivolti al Tribunale amministrativo federale (TAF) per le obbligazioni AT1 del Credit Suisse dichiarate prive di valore dalla FINMA al momento della fusione. L’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari aveva ordinato a CS l’azzeramento di questi titoli di debito a tassi di interesse elevato per un ammontare totale di 16 miliardi di franchi. La procedura, aveva detto la FINMA, era giustificata dall’aiuto dei poteri pubblici, in particolare dalla liquidità garantita da Berna.

Gli oltre 700 milioni di franchi che la Confederazione e la BNS incasseranno, è notizia di venerdì, da UBS-Credit Suisse tra premio per il rischio e garanzie ottenute al momento della transazione del 19 marzo, sono evidentemente ulteriore sale sulla ferita dei creditori.

Che sono tanti. I detentori di obbligazioni AT1 che contestano il “colpo di spugna” della FINMA sono circa 3'000 rappresentati dai 320 ricorsi al TAF. Ma il caso è destinato ad allargarsi a livello globale e su altri tavoli. Studi legali asiatici sono infatti intenzionati a presentare una richiesta di arbitrato internazionale contro l’azzeramento delle AT1 (Additional Tier1).

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La decisione della FINMA è stata ritenuta controversa anche dalla stessa Banca centrale europea (BCE), che il 20 marzo si era subito affrettata a rassicurare propri investitori in debito bancario affermando che da loro i bond AT1 erano blindati.

Altri grattacapi sono attesi dagli azionisti di CS che hanno fatto causa a UBS contestando il prezzo d’acquisto di 3 miliardi stabilito quando il valore in borsa di Credit Suisse, il venerdì precedente il fatidico 19 marzo, era ancora superiore ai 7 miliardi. Nel loro caso non si è trattato di un azzeramento ma di un dimezzamento. Ad avviare il procedimento per un “indennizzo adeguato” è stata, a fine luglio, l’Associazione svizzera per la protezione degli investitori (ASPI) che fa leva sul fatto che gli azionisti non siano stati interpellati sulla fusione. Interesse per un’azione collettiva era stato manifestato da circa 400 investitori, ha detto il segretario generale dell’ASPI al momento di annunciare l’iniziativa legale.

L’eredità delle cause legali

Un ulteriore nodo, non ancora del tutto risolto, riguarda le cause legali portate in dote, si va per dire, da Credit Suisse. Nemmeno tre settimane fa, UBS ha pagato una multa complessiva di 330 milioni di franchi alle autorità di vigilanza di USA e Regno Unito in merito al caso Archegos. La vicenda risale alla primavera del 2021 quando il crollo di questo hedge found statunitense aveva provocato a CS, solo per i conti di quell’anno, una perdita di 1,6 miliardi di franchi. “Le mancanze di Credit Suisse nel gestire efficacemente i rischi erano estremamente pesanti”, ha commentato Sam Woods, il vicegovernatore della Bank of England.

Si tratta del primo patteggiamento reso pubblico, e non sarà verosimilmente l’ultimo. Nel commentare la chiusura della vertenza la stessa UBS ha assicurato di voler risolvere al meglio le controversie e le questioni normative lasciate in sospeso da Credit Suisse.

Parco immobiliare, il destino dei doppioni

Infine, sempre in un’ottica di riduzione dei costi, UBS dovrà decidere cosa fare delle succursali di Credit Suisse. Solo in Svizzera sono ancora 95, dopo che lo stesso CS lo scorso novembre aveva annunciato la chiusura di 14 delle sue 109 agenzie. Una decisione giustificata allora con il “cambiamento di abitudini dei clienti”, ma che adesso diventa doppiamente urgente nei centri dove è già presente una rappresentanza di UBS, sovente in una posizione di dirimpettaia. O comunque molto vicina, visto che i tre quarti delle succursali di CS si trovano a meno di 400 metri da una UBS.

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La distanza, assieme ai servizi offerti, potrebbe diventare l’elemento discriminante nel decidere il destino di un parco immobiliare cui la banca ha però spesso già attinto in passato per ripianare le difficoltà. Negli ultimi dodici anni, come ricordava lo scorso novembre un articolo sull’Handelszeitung, Credit Suisse ha messo mano all’argenteria di famiglia, vendendo i suoi immobili di prestigio per un valore di circa 2,6 miliardi di franchi. Gli esperti, scriveva il giornale della piazza finanziaria, stimano che il patrimonio immobiliare di CS valga ancora tra i 2 e i 2,5 miliardi. L’ultimo gioiello, di cui la banca ha confermato lo scorso autunno la messa in vendita, è stato il Savoy Baur Hotel, l’albergo di lusso che sorge accanto alla sede centrale della banca in Paradeplatz 8 a Zurigo. Quest’ultima, probabilmente, incedibile. O forse no.

RG 9.00 del 11.08.2023 - Le spiegazioni in diretta di Marzio Minoli

RSI Svizzera 11.08.2023, 09:16

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