Lo stesso elettorato che ha votato Putin sembrerebbe volere anche la fine della guerra contro l’Ucraina. Una posizione a prima vista paradossale, ma che non lo è per Yves Rossier, già ambasciatore svizzero a Mosca, intervistato dai microfoni della RSI.
“Non credo che si tratti di un paradosso. Non ho l’impressione che la guerra sia molto popolare in Russia. Inoltre, il governo sta facendo tutto il possibile per evitare che la popolazione senta la presenza del conflitto e la vita deve sembrare normale. Non ci sono più mobilitazioni perché la prima ha causato disordini. Credo che ci sia un doppio scopo in queste elezioni. Il primo è pedagogico: far capire alla gente che non c’è alternativa ed è anche per questo che Navalny è morto nel momento ‘giusto’. È la conferma che non c’è alternativa. Il secondo scopo riguarda la promessa di stabilità. Credo che per una parte della popolazione, soprattutto quella più anziana, ci sia anche questo desiderio di stabilità”.
Tutto come previsto in queste elezioni russe o qualcosa l’ha stupita?
“No, perché la sensazione che non ci sia alternativa è qualcosa che si avverte molto bene quando si è in Russia. Il Cremlino non pretende che i russi aderiscano ideologicamente e con entusiasmo al potere, ma pensano che la passività sia sufficiente. E per mantenere questa passività la gente deve essere convinta che non c’è alternativa. Questo è il ruolo educativo di queste elezioni. Non si tratta di decidere chi sarà il presidente, ma di trasmettere questo messaggio al popolo russo”.
Cosa si può dire dell’opposizione a Putin? È scomparsa?
“L’opposizione attiva certamente è molto esigua e credo che questo sia dovuto a diverse ragioni. Innanzitutto c’è una certa consapevolezza nella popolazione russa, la quale fatica a pensare che dalla politica possa uscire qualcosa di buono, e la storia del XX secolo lo conferma. Il governo in Russia è un po’ come una tempesta di neve, qualcosa di minaccioso in cui si spera di non incappare, si spera di non soffrirne nella propria vita. Si spera che passi. C’è stata molta opposizione nei primi anni del 2010, quando c’erano manifestazioni molto grandi a Mosca e nelle principali città russe. Ora non ce ne sono affatto, quindi credo che il coperchio sulla pentola sia stato completamente chiuso”.
Cosa deve ottenere la Russia in Ucraina per considerarsi vittoriosa?
“È difficile dirlo. Gli obiettivi della guerra dichiarati pubblicamente sono cambiati diverse volte. Prima si trattava di liberare la popolazione del Donbass, poi di denazificare l’Ucraina, poi di cambiare il governo. Poi si è trattato di neutralizzare l’Ucraina e smilitarizzarla e poi c’è stata l’annessione dei territori. Gli obiettivi dichiarati sono continuamente mutati e ora la retorica ufficiale parla di una guerra contro la NATO, quindi si va ben oltre. Ciò che mi preoccupa è la mobilitazione dell’economia russa che si sta trasformando in un’economia di guerra. E se si guarda la storia, quando un paese intraprende la militarizzazione della sua economia e del suo sistema produttivo, è molto difficile tornare indietro. Quindi non so cosa si intenda in Russia per vittoria e non so quale vittoria noi vogliamo ottenere”.
Quanto è forte la Russia? Con questa militarizzazione dell’economia il Paese potrebbe crollare all’improvviso, come nel 1989?
“È vero. La storia dell’Unione Sovietica ce lo dimostra. In Russia abbiamo una concentrazione verticale del potere, e più un potere è verticale, più ha eliminato tutti i contropoteri e più è fragile. E maggiore è il rischio di un caos generale, quando crolla questo potere verticale. Ed è quello che è successo nel 1917. Succederà anche adesso? Non lo so. Uno storico russo che conosco mi ha detto l’altro giorno: ‘Sai, non può andare avanti così’. E poi ha aggiunto: ‘Lo dico da 30 anni’”.
Ecco perché Putin vince
RSI Info 15.03.2024, 14:55
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