Intervista

“Le democrazie non riescono più a parlare all’uomo comune”

Modem incontra Paolo Rumiz, giornalista e scrittore: la frontiera come luogo da cui partire per leggere il nostro tempo

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29:29

Modem incontro: Paolo Rumiz

Modem 18.11.2024, 08:30

  • RSI
Di: Roberto Porta/Modem 

Un mondo che “scivola lungo un pericoloso piano inclinato”. Di questo, anche di questo, parla “Verranno di notte”, l’ultimo libro di Paolo Rumiz. Ma come fare per capire le dinamiche che si stanno manifestando lungo quel “piano inclinato”? Per il giornalista e scrittore triestino c’è un luogo che più di tutti ci aiuta a leggere il presente: la frontiera. Un luogo che “vibra come un sismografo di fronte agli eventi mondiali”. Per Rumiz la frontiera è “sensibilissima, il pennino di questo sismografo balla a ogni minimo movimento della geopolitica”. Con lui abbiamo parlato anche di altro, a cominciare dall’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista trasmessa lunedì 18 novembre durante Modem.

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Il trumpismo è diffuso anche qui in Europa. Lei nei suoi viaggi lo ha raccontato, magari chiamandolo anche in un altro modo. Secondo lei da dove nasce? C’è troppa paura, tanti timori per il futuro, da qui nasce questa corrente, che potremmo chiamare anche sovranista questa?

“Di fronte al voto americano, un democratico tende a esorcizzare la cosa dicendo che gli americani sono impazziti. Come fanno a votare un golpista, uno che ha attaccato il parlamento del suo stesso paese, che ha mentito, che ne ha fatte di cotte e di crude? Come può essere un modello quest’uomo? Ma la domanda giusta è un’altra: come mai con un personaggio del genere i democratici non sono riusciti a vincere? Avrebbero avuto la partita facilissima. Che cosa manca nel messaggio democratico? Qui si pone un problema molto più vasto, quello della capacità delle democrazie di esprimere un linguaggio convincente nei confronti dell’uomo qualunque”.
                

C’è qualcosa di cui il centro e la sinistra, che stanno sull’altro fronte dello scacchiere politico, si devono rimproverare?

“Da questa cosa non si esce accusando la destra ma facendo un autoanalisi dei propri errori, cosa che io non vedo. Cioè non c’è nemmeno la curiosità di andare a vedere l’altra faccia della luna, ma non sarà che abbiamo sbagliato? Non sarà che dall’altra parte forse si dicono delle cose che possono convincere? La vittoria di Trump non fa altro che riempire un clamoroso vuoto delle democrazie. Democrazie che rischiano di suicidarsi in questo momento rincorrendo vanamente il messaggio di destra, quindi ad esempio anti-migranti”.
                

Lei parla di immigrazione. Centro e sinistra hanno lasciato questo tema per troppo tempo nelle mani della destra?

“Esatto. Se tu lasci quella che è l’umanissimo spaesamento del cittadino medio nei confronti di un’immigrazione crescente e soprattutto non regolata lasci che questa naturale paura, questo naturale spaesamento sia assorbito e interpretato dalla destra che lo rilancia come razzismo. Ogni immigrato è potenzialmente un criminale. Cosa hanno fatto il centro e la sinistra? Cosa hanno fatto per impedire questa questo scivolamento verso la criminalizzazione di qualsiasi straniero? Niente, anzi tendono a inseguire la cosa. Quante volte mi è capitato di vedere la sinistra dire: meglio non toccare questo argomento perché rischiamo di perdere elettori. È una mancanza di coraggio più totale. Ci vuole un Garibaldi oggi, ci vorrebbe un uomo come lui, capace di infiammare, di lottare, di affrontare. Non c’è.”

Amo la frontiera: è il luogo dove avviene l’incontro

Paolo Rumiz, Giornalista e scrittore

Da dove ripartire, se ci riferiamo al nostro continente. Lei ha dedidato uno dei suoi libri sull’Europa, “Il filo infinito” all’eredità di San Benedetto, patrono d’Europa. Lei si definisce un mangiapreti. Come mai un mangiapreti è andato sulle tracce di questo santo, vissuto quasi 1500 anni fa?

“A parte il fatto che quando mi sono definito tale davanti a Papa Francesco, lui ha riso e mi ha detto “buon appetito!” Io non sono un credente in senso religioso, ma cerco il sacro. E ho intuito in quegli uomini, in quei frati benedettini, una energia spirituale, una capacità anche fisica di ricostruzione, di cultura, di capacità di vivere assieme, che mi ha sedotto. Il messaggio di San Benedetto sarebbe utilissimo in qualsiasi società laica. Il modello didedicatoconvivenza e di lavoro unito alla preghiera, o comunque la riflessione, e viene da lì. E questo viene dall’Italia, viene dall’Appennino. Viene da un luogo, e questo è importantissimo, sismico, abituato alla ricostruzione continua. Da dove potevano venire uomini che hanno ricostruito l’Europa nel momento del crollo generale dell’Impero romano, se non da un luogo sismico? L’Appennino centrale.”

Lei è un uomo di viaggio, di racconti anche camminando, dove pensa di andare ora, per capire meglio quello che sta succedendo.

“Non si tratta di viaggiare lontano, in località esotiche, ma andare in luoghi sensibili. Quindi certamente la Russia. Ma mi piacerebbe attraversare di nuovo il Magreb. Che ne sappiamo oggi dell’Algeria? Che ne sappiamo oggi del popolo egiziano? Anche Israele mi sfugge, non è più quello che conoscevo. No, voglio tornare in Siria, in Turchia e anche in Ucraina. Sono assetato di questi mondi che sono subito fuori dal nostro.” 

Sempre un confine, mi sembra di poter dire.

“Ebbene sì, mi nutro di confini. I confini sono alla radice della mia inquietudine migratoria. Io amo la frontiera non perché mi serve a difendermi da un nemico esterno, ma perché è il luogo sul quale avviene l’incontro. Quindi uno strumento di conoscenza incredibile. Io credo che un buon confine aperto sia il migliore antidoto al ritorno dei muri e dei reticolati.”
                

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