Pavel Kudiukin, storico e professore universitario, si è battuto contro i regimi autoritari per tutta la vita. Negli anni Ottanta ha passato un anno in prigione per attività antisovietiche, due anni fa è stato uno dei firmatari di una lettera aperta che condannava l’invasione russa dell’Ucraina e chiedeva il ritiro delle truppe russe. Nonostante il rischio di esprimere determinate posizioni, ha deciso di restare in Russia. La RSI lo ha intervistato.
“Penso che una voce dall’interno sia più convincente - spiega Kudiukin -. È ovvio che quando una persona si trova all’estero, relativamente in sicurezza, parla più facilmente. Quando una persona dice le stesse cose dall’interno del Paese, trovo che sia più credibile. In più, se qualcosa cominciasse a muoversi, sarebbe importante essere qui dal primo giorno”.
Esserci, nonostante tutto: “Sono ottimista - dice convinto - . Penso che davvero qualcosa si muoverà, che prima o dopo naturalmente le persone ne avranno davvero abbastanza. In molti sono già stanchi della guerra: c’è insoddisfazione tra i civili e aumenta anche il malcontento di chi è al fronte. In prospettiva non si può escludere un nuovo febbraio del 1917”.
Quanto al fatto che si riesca a fare opposizione in Russia, il nostro interlocutore ne è convinto: “È possibile, in nuove forme, ed è possibile grazie al fatto che la maggioranza di chi fa opposizione è rimasta in Russia anche se la maggior parte delle figure più note sono emigrate o in carcere. Il numero di oppositori e potenziali oppositori è molto alto. Certo i movimenti sono diventati molto più clandestini, ma allo stesso tempo vengono alla luce nuove forme, nuove possibilità di opporsi, ad esempio il movimento delle donne vicine a chi è stato mobilitato e chiedono il ritorno dei loro uomini dal fronte. Sono nuovi elementi che portano all’ottimismo”.
I rischi per le voci contrarie sono elevati, è Kudiukin lo ha sperimentato sulla propria pelle: “Va detto che il numero di detenuti politici è più alto che ai tempi dell’Unione sovietica. La repressione oggi è peggiore di allora: anche le pene sono nettamente superiori. Ai tempi dell’URSS per azioni politiche contrarie al regime potevi avere al massimo 7 anni di prigione e 5 di confino, oggi le pene sono diventate molto più pesanti”.
Muoversi contro corrente, fare resistenza è quindi pericoloso, ma anche faticoso. “Ci sono dei momenti - dice il professore russo - in cui ti cadono le braccia. Ma poi interviene una forza interiore, una sorta di stoicismo che spinge a riprendersi e ad andare avanti. In più, credo di avere raccolto l’eredità dei miei antenati, oppositori dello zar che erano stati perseguitati a lungo dal potere russo e che malgrado questo avevano mantenuto il loro credo e la fiducia nella vita. Io faccio come loro”.
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