La rinuncia di Joe Biden, che non sarà candidato alle presidenziali di novembre pur avendo vinto le primarie, apre nuovi scenari nelle settimane che portano alla convention democratica e poi alle elezioni di novembre. Il presidente uscente - a questo punto lo si può chiamare così - ha dato il suo endorsement alla vice Kamala Harris, che ha ricevuto il sostegno anche di diversi nomi importanti del partito democratico. E nessuno si è ancora fatto avanti per sfidarla. Si va dunque verso una convention già segnata? Sarà quindi Kamala Harris a sfidare Donald Trump in novembre? Chi sarà il suo vice? Quali sono le sue possibilità di vittoria? Un’analisi affidata a Mario Del Pero, docente di storia e politica estera statunitense a Sciences Po a Parigi, intervistato al Radiogiornale.
La prima domanda che tutti si fanno è: inizia davvero una nuova partita? C’è davvero il tempo per una sfida aperta a Trump che lo sappiamo è avanti nei sondaggi, galvanizzato da da questo inizio di campagna e quasi diventato un martire dopo anche l’attentato di cui è stato vittima?
“Sì, io credo inizi una nuova campagna con fondamenti vecchi, che poi i sondaggi mostrano, perché i sondaggi che abbiamo ci dicono che la Harris, più o meno, contro Trump ottiene gli stessi risultati di Biden. Poi tutto può accadere. Però era chiaro che mantenere Biden candidato voleva dire andare verso una sconfitta certa, voleva dire tenere sotto i riflettori la questione dell’età e della senilità di Biden. Questo esce dalla discussione, in parte, perché i repubblicani cercheranno di associare la Harris a Biden e alla sua debolezza, alla sua fragilità. Però inizia una partita nuova, complicata. I democratici partono a handicap, però hanno ancora delle risorse. L’entusiasmo anche nella raccolta di finanziamenti che ha seguito l’abbandono della contesa di Baden ci indica che c’è comunque energia e vitalità, che la candidatura presumibile di Harris probabilmente, almeno sul breve periodo, riattiva.
Sembra di leggere nelle sue parole che i quei democratici che non sono convinti nella scelta di mandare avanti Kamala Harris alla fine non prevarranno...
L’impressione è questa. Sono arrivati subito endorsement, sostegni pesanti alla Harris dei Clinton, del governatore della California Newsom, di pezzi da novanta del partito, della delegazione nera al Congresso, il Black Caucus. Quindi l’impressione è che si stia andando verso una convergenza su Harris. Nessuno per il momento ha dichiarato di volerla sfidare per andare a una convention aperta. Tutto ciò pone dei problemi e dei rischi: l’impressione che sia una candidatura calata dall’alto, senza il passaggio e la validazione democratici di primarie, anche primarie strette, di mini primarie come taluni prospettavano. Però il rischio di una convention aperta lacerante, divisiva, magari con una sconfitta di Harris che alienerebbe segmenti elettorali femminili afroamericani, è troppo alto, credo, per poter essere corso. Credo si vada su una convergenza verso Harris.
La scelta di un vice, del profilo che possa completare quello di Kamala Harris: uomo bianco, aggiungo magari di uno Stato in bilico, magari della Pennsylvania, magari il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro...
Se noi andiamo a guardare i sondaggi e le proiezioni, l’unica carta, la carta principale che i democratici hanno da giocare oggi è controllare il Midwest post-industriale: tre Stati decisivi, Wisconsin, Michigan e come giustamente ricordava lei, la Pennsylvania. Con quelli i democratici possono vincere anche perdendo Arizona, Nevada, Georgia e North Carolina, gli altri swing States. E abbiamo una candidata nera liberal californiana, che diciamo non è la candidata, il profilo demografico ideale per intercettare il voto bianco maschile della “Rust belt”, di questo Midwest. E allora giustamente si andrà a cercare un vicepresidente che bilanci la Harris. Su questo Shapiro sembra avere il profilo ideale. Non è l’unico, c’è il governatore del Kentucky, ce ne sono altri. Però Shapiro ha poca esperienza, è stato eletto solo due anni fa. Ma sicuramente il ticket dovrà bilanciare queste fragilità di Harris.
Un possibile vice per Kamala Harris: il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro
Come cambia invece dall’altra parte la campagna repubblicana? La campagna di Trump tutto sommato avrà contro qualcuno dell’Amministrazione uscente...
Credo giocherà molto su questo sul malcontento di un pezzo di elettorato verso questa Amministrazione, alimentato anche dalla crescita dei prezzi, l’inflazione, la questione dell’immigrazione. Dossier di cui in una certa misura è stata responsabile proprio la Harris. Non è vero che ha gestito il dossier immigrazione, quello è di competenza del dipartimento della Homeland Security, ma nel suo portafoglio c’erano i rapporti col Messico, i Paesi centroamericani, per cercare di meglio gestire la questione al confine meridionale che è stata mal gestita. O perlomeno è percepita come essere stata mal gestita. Quindi punteranno molto su questo e la accuseranno di essere in continuità con i responsabili di alcune delle politiche più fallimentari di Biden. Trump e Vance devono stare però attenti. Perché il rischio di uscire dai binari, che con Trump succede spesso, e magari lanciarsi in attacchi che suonino di misoginia, insomma di maschilismo, è molto forte. E questo potrebbe mobilitare un elettorato femminile che sappiamo votare a maggioranza democratica, che sappiamo essere decisivo.