Il processo a Donald Trump non è uno scandalo sessuale, ma “un tentativo di interferenza nelle elezioni nel 2016”, per nascondere agli elettori informazioni negative sul candidato alla Casa Bianca. Nel giorno in cui il dibattimento per il caso della pornostar Stormy Daniels entra nel vivo aprendo la battaglia tra le parti, l’accusa alza il tiro, cercando di inquadrare il procedimento non come un misfatto minore (la falsificazione di documenti contabili), ma come un reato più grave (la violazione della legge sul finanziamento della campagna elettorale).
“Questo caso riguarda un’associazione a delinquere. L’imputato, Donald Trump, ha orchestrato un piano per manipolare le elezioni del 2016. Poi lo ha nascosto mentendo ripetutamente nei suoi documenti aziendali a New York”, ha sostenuto Matthew Colangelo, uno dei tre procuratori in aula, nel suo “opening statement”.
“Alla fine siamo certi che non avrete alcun ragionevole dubbio che Trump sia colpevole di aver falsificato documenti aziendali con l’intento di celare una cospirazione illegale per minare l’integrità delle presidenziali”, ha proseguito rivolgendosi ai 12 giurati, mentre il tycoon scuoteva la testa. Un’accusa paradossale per uno come Trump che ha costruito la sua nuova campagna per la Casa Bianca alimentando la teoria infondata delle elezioni rubate e proclamandosi vittima di inchieste politiche bollate come “interferenza elettorale”. Ma Todd Blanche, uno dei suoi avvocati, ha stupito replicando che “non c’è niente di sbagliato nel cercare di influenzare un’elezione. Si chiama democrazia”.
Secondo i procuratori, la cospirazione iniziò pochi mesi dopo che Trump aveva annunciato la sua candidatura nel 2015 in un incontro tra lui, il suo avvocato tuttofare Michael Cohen e l’editore (amico) del National Enquirer, David Pecker. I tre “decisero di nascondere le informazioni negative sul tycoon per aiutarlo a essere eletto” usando la prassi “catch and kill” del tabloid: acquistare in esclusiva i diritti su una storia per insabbiarla.
Così Pecker pagò prima 30 mila dollari ad un portiere della Trump Tower per seppellire la voce di una paternità extraconiugale, poi 150 mila dollari alla coniglietta di Playboy Karen McDougal per silenziare una sua precedente relazione col tycoon. Non fu rimborsato ma aiutò lo stesso Trump quando Stormy Daniels avvicinò il tabloid per svelare il suo vecchio “affaire” con il tycoon, poco dopo la diffusione dell’imbarazzante audio “Access Hollywood” in cui the Donald si vantava di poter prendere le donne per gli organi genitali. Pecker avvisò Cohen, che sborsò di tasca propria 130 mila dollari e fu poi rimborsato dal suo boss con una serie di assegni per prestazioni legali fittizie.
“Donald Trump è innocente, non ha commesso alcun crimine”, ha assicurato l’avvocato Blanche, che ha poi attaccato la credibilità di Cohen e Daniels dipingendoli come dei bugiardi patentati, motivati dal rancore e dai soldi. Quindi è stato il turno del primo testimone, Pecker, cui è stata concessa l’immunità in cambio della sua deposizione, che però entrerà nel vivo martedì. L’editore è diventato da stretto alleato di Trump a super testimone dell’accusa e con le sue dichiarazioni rischia di incastrarlo: quando lo ha salutato con un “hi”, l’ex presidente non gli ha risposto.
Trump tira intanto un sospiro di sollievo dopo che la procura di New York aveva contestato la legittimità e la capacità finanziaria di Knight Specialty Insurance Company di garantire i 175 milioni di bond in attesa dell’appello contro la sanzione da 454 milioni nel processo per gli asset gonfiati: la cifra è rimasta la stessa, mentre i termini sono stati modificati e resi più stringenti per garantire la disponibilità della somma. Giovedì invece udienza cruciale alla Corte suprema sull’immunità nel processo per l’assalto al Capitol.
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