Emmanuel Kang è originario di Ginevra e vive in Cina con la sua compagna e i loro due figli. Un anno fa abitavano a Wuhan, e quando – il 23 gennaio 2020 – è stato annunciato il lockdown, erano appena partiti in vacanza per Hong Kong. La città, con i suoi 11 milioni di abitanti, era stata sigillata dalle autorità per arginare la diffusione di quello che ormai era già noto come nuovo coronavirus.
“Abbiamo capito subito che tornare a casa sarebbe stato molto complicato. Ma non avevamo altra scelta che tornare a Wuhan”, racconta Emmanuel. Il 28 gennaio, lui e la sua famiglia hanno preso un treno verso la capitale dell’Hubei, epicentro dell’epidemia, senza tuttavia sapere se si sarebbe fermato nella città. “Alla fine si è fermato e siamo riusciti a tornare a casa, ma non è stato facile, e poi siamo entrati sempre più in uno stato di confinamento, fino ad essere chiusi in casa. Io ero il solo a poter uscire per andare a fare delle commissioni, e la famiglia doveva restare a casa”.
Il ricordo di quel periodo, tuttavia, per il 43enne svizzero è positivo. “Le cose hanno funzionato. Il Governo ha preso dei provvedimenti per far sì che le persone potessero vivere stando in casa, hanno anche allestito dei negozi nei vari complessi per fare in modo che non fosse necessario allontanarsi troppo e correre dei rischi”.
Il 43enne svizzero oggi vive a Hangzou con la famiglia
"Al mondo sembrava una catastrofe, ma non era così"
Il 31 gennaio, in Cina c’erano già 10'000 casi accertati di Covid-19 e molti di questi erano a Wuhan. Ma le cifre sarebbero cresciute in fretta. “Il mondo guardava a noi come a una gigantesca catastrofe mal gestita”, ricorda Emmanuel. Ma quello che è successo dopo, a suo parere, smentisce questa visione. “A metà marzo la situazione era già sotto controllo. E se oggi guardo a quello che è successo dopo globalmente penso che il Paese abbia gestito bene la crisi”, osserva e fa un raffronto con la Svizzera, dove ancora oggi si contano migliaia di casi ogni giorno. “Qui invece non ci sono state grandi nuove ondate”.
Nel corso del 2020, la moglie di Emmanuel, come tanti altri, ha perso il lavoro, e la famiglia si è trasferita ad Hangzou, nella provincia dello Zehjiang, dove vive attualmente. “Da dopo l’estate abbiamo l’impressione che il virus qui non ci sia mai stato”, afferma. Questo grazie anche ai sistemi di controllo messi in atto dalle autorità, tra cui il tracciamento di ogni persona via smartphone, attraverso l’applicazione WeChat (una sorta di versione cinese di WhatsApp).
La pausa pranzo dei lavoratori della Honda a Wuhan, in uno scatto del 23 marzo 2020
Il controllo attraverso lo smartphone
Per spostarsi e prendere i mezzi, ad esempio, è necessario esibire un codice di colore verde che indica che la persona non rappresenta un rischio di contagio. “Si può dire che è una forma di controllo, ma è per il bene di tutta la società, per fare in modo che gli altri possano continuare a vivere liberamente. Io stesso ho l’impressione oggi di vivere completamente libero. Esco senza mascherina e se vado in un negozio, tutto quello che devo fare è presentare il mio codice verde”.
Le misure di controllo prese dalle autorità di Pechino sono state spesso criticate per la loro invasività e per la violazione della privacy delle persone. Ma secondo Emmanuel, questo aspetto non rappresenta un problema: "Oggi tutti hanno un telefonino e tutti sanno di poter essere controllati. Tutto dipende dall'utilizzo che ne fanno i Governi o chi accede alle informazioni. In questo caso specifico, è chiaro che è stato fatto per il bene pubblico", conclude.
Elena Boromeo
Wuhan senza virus
Telegiornale 03.01.2021, 21:00