È sempre delicata la situazione legata al conflitto nell’Ucraina orientale, con prove di guerra che s'intrecciano alle prove di dialogo, che sono gestite (a turno) da Russia e Stati Uniti, ma al tavolo ovviamente siedono anche Kiev e Bruxelles.
Giovedì è stato però il momento del faccia a faccia a Stoccolma tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo omologo americano Antony Blinken, un confronto che a tratti è stato molto duro. Il segretario di Stato ha ribadito la linea della fermezza di Washington: se Mosca "aggredirà" Kiev, le conseguenze saranno "pesanti" e dunque è meglio "stemperare" e lasciare spazio alla diplomazia. La Russia però non ci sta e rimanda le accuse al mittente.
La disputa non è nuova ma ora, dopo ben sette anni di stallo e migliaia di morti tra i soldati regolari ucraini e i ribelli filorussi, i nodi stanno venendo al pettine. Il punto è sempre lo stesso, ossia l'allargamento a est della NATO infrange le “linee rosse” di Mosca e Kiev ha ribadito giovedì di non voler rinunciare all'adesione. Le autorità ucraine, è il ragionamento del Cremlino, forti del sostegno occidentale stanno alzando la posta in gioco e di fatto non attuano il loro pezzo di accordo di Minsk, trasformando l'autonomia del Donbass, l'area contesa del Paese a maggioranza russofona, in un miraggio.
Ma per Washington ci sono "prove" che la Russia abbia elaborato piani per invadere l'Ucraina e se Mosca darà seguito a quei piani può star sicura che gli Stati Uniti, insieme con la NATO, sono pronti a reagire, a partire da sanzioni economiche severe a un livello finora mai osato. Intanto, proprio ieri, giovedì, al Parlamento di Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espressamente parlato di "riprendere" la Crimea, un fatto che Mosca non considera negoziabile visto che per Vladimir Putin la penisola nel Mar Nero è tornata russa, punto e basta.