Il Ministero dell’ambiente brasiliano ha deciso di sospendere l’attività di controllo della deforestazione in Amazzonia proprio quando è iniziata la stagione arida, più propizia agli incendi dolosi. E oltre alle proteste degli ambientalisti il Brasile rischia ora delle ripercussioni a livello commerciale. Alla base della rinuncia c’è un risparmio di fondi pubblici equivalenti a 10 milioni di franchi. Motivazioni insufficienti, secondo gli ecologisti, che accusano il ministro dell’ambiente Ricardo Salles di voler in realtà abbandonare al suo destino una regione chiave per l’intero Pianeta.
“Tra maggio, giugno e luglio c’è stato un aumento del 22% di incendi rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. - spiega il portavoce dell'Osservatorio sul clima del Brasile, Marcio Astrini - Il Governo sta ritirando dalla regione gli agenti forestali che sanno fronteggiare i roghi nel periodo più critico dell’anno. Tutto questo porta delle conseguenze sulla lotta al cambiamento climatico: quando l’Amazzonia brucia si aggrava la crisi del riscaldamento globale”.
Un’emergenza che ha delle forti ripercussioni internazionali, non solo per le proteste di ambientalisti in tutto il mondo che stanno già boicottando i prodotti brasiliani, ma anche per le conseguenze dal punto di visto economico, dal momento che devono essere approvati gli accordi di libero scambio del Mercosur con la UE e l’Associazione europea di libero scambio di cui fa parte anche la Svizzera.
“La politica anti-ambientalista di Bolsonaro sta mettendo a rischio questi trattati. Diversi paesi europei si stanno rendendo conto che non ha senso discutere di una nuova green economy, di uno sviluppo sostenibile per uscire dalla crisi causata dalla pandemia e poi sottoscrivere un’intesa commerciale con un Governo come quello brasiliano che sta promuovendo la distruzione della foresta amazzonica”, conclude Astrini.