Amnesty International, in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, lancia mercoledì una nuova campagna, puntando il dito sulle condizioni che regnano in quello che viene definito il "braccio della morte", l’ala delle prigioni riservata ai condannati alla pena capitale.
La lente su cinque paesi
Le informazioni raccolte riguardano violazioni dei diritti umani nel mondo intero, ma l'organizzazione si concentra questa volta su cinque paesi dove ritiene di poter avere un'influenza: Bielorussia, Ghana, Iran, Giappone e Malaysia. Nel paese dell'Europa dell'est, l'esecuzione avviene senza preavviso, né per i familiari né per gli avvocati, e neppure per il condannato stesso. Negli altri quattro paesi, capita che al prigioniero non vengano più fornite medicine né cure contro malattie croniche, e che finisca in isolamento fino alla fine dei suoi giorni.
Mohammad, condannato a morte 14 anni fa, quando aveva 15 anni
Due esempi di casi estremi
Nel rapporto vengono evidenziati singoli casi relativi a detenuti in attesa di esecuzione, come il cittadino nipponico Kenji Matsumoto che, in carcere dal 1993, ha sviluppato disturbi di tipo paranoico.
In Iran, Mohammad Reza Haddadi è nel settore dei condannati alla pena capitale dall’età di 15 anni, ed ed stato sottoposto alla tortura psicologica di vedere la sua esecuzione programmata e poi rinviata almeno sei volte negli ultimi 14 anni.
Quasi mille esecuzioni in un anno
Nel 2017 si è registrato un lieve calo delle esecuzioni. Nel mondo ne sono state recensite 993 in 23 paesi: una diminuzione del 4% rispetto al 2016 e del 39% rispetto al 2015. La maggior parte delle esecuzioni sono avvenute in Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan, ma mancano i dati relativi alla Cina, che sfugge alle statistiche pur ricorrendo regolarmente alla pena di morte.
Amnesty International ricorda nuovamente le condizioni fissate nel diritto internazionale e invita a rinunciare a condizioni di detenzione disumane. "La pena capitale viola il diritto alla vita iscritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani - si legge sul sito dell'associazione - Si tratta della pena più crudele, disumana e degradante".