"Deve imparare ad usare internet e a comperare le cose senza contanti”, ha dichiarato il suo avvocato Nancy Tetrault all’Associated Press. “È un mondo molto diverso da quello in cui è entrata in carcere".
Dopo 52 anni dietro le sbarre è stata rilasciata martedì mattina da un penitenziario femminile di Corona, in California, Leslie Van Houten. Un nome che a molti dirà poco. Oggi è una donna di 73 anni, ma a 19 era uno degli “angeli della morte” della setta di Charles Manson che seminò panico e morte nella Los Angeles di fine anni ‘60. Soprattutto è la prima dei seguaci di “Mr. Satana”, che hanno partecipato ai famigerati omicidi Tate-LaBianca, a tornare in libertà, seppur vigilata.
La sua scarcerazione era attesa, dopo che il governatore della California Gavin Newsom ha rinunciato ad impugnare la decisione di una corte d'appello statale di concedere la libertà vigilata all'ergastolana. Decisione tuttavia criticata in un comunicato dello stesso ufficio del governatore: “Più di 50 anni dopo che la setta di Manson ha commesso questi brutali omicidi, le famiglie delle vittime ne sentono ancora l’impatto”.
La strage di Cielo Drive
La sera dell’8 agosto 1969 i membri della “Famiglia” Manson entrarono nella villa, sulle colline di Hollywood, del regista Roman Polanski, che si trovava a Londra per lavoro. Qui accoltellarono, picchiarono e uccisero a colpi di pistola la popolare attrice Sharon Tate, 26 anni, sposata con Polanski e all’ottavo mese di gravidanza , e i suoi amici: il parrucchiere delle celebrità Jay Sebring, l’ereditiera dell'impero del caffè Abigail Folger e l’aspirante sceneggiatore polacco Wojciech Frykowski. Nel dirigersi verso la casa al numero 10050 di Cielo Drive il gruppo di sbandati sparò contro il 18enne Steven Parent, la quinta vittima di quella che per la cronaca divenne la “strage di Bel Air”.
Gli omicidi LaBianca
La Van Houten non partecipò alla prima serata di sangue, ma faceva parte del manipolo di sei persone che, la notte seguente, guidato dallo stesso Manson, fece irruzione nella residenza del ricco commerciante Leno LaBianca e di sua moglie Rosemary. La coppia fu uccisa e il loro sangue spalmato sulle pareti della grande casa bianca (un dettaglio macabro, ma anche una sorta di firma lasciata sul luogo del delitto, al 3301 Wawerly Drive, nella periferia di Los Angeles). Se Manson si limitò a legare i coniugi, nelle spedizioni evitò infatti di sporcarsi le mani tenendo il ruolo dell’ispiratore, la 19enne Van Houten raccontò in seguito di aver tenuto a terra, con una federa sulla testa, Rosemary, mentre gli altri la pugnalavano. Quindi, ricevuto l’ordine da Charles “Tex” Watson, un altro degli affiliati, di “fare qualcosa”, riferì di avere inferto una dozzina delle quarantuno coltellate che l’autopsia contò sul corpo della donna. Le scritte, dalla parola “War”, guerra, incisa sul petto del marito, ai messaggi che le quattro ragazze tracciarono con il sangue sulle pareti del soggiorno, “Death to pigs”, morte ai porci, e “Rise”, insorgete, aggiunsero orrore all’orrore. La stessa minaccia “Death to pigs” fu rinvenuta anche sui muri della villa di Polanski.
Per aver aiutato il gruppo Manson negli omicidi LaBianca, Leslie Van Houten venne condannata a morte nel 1971. La sentenza fu, in seguito, commutata in ergastolo quando l’anno seguente la Corte Suprema della California abrogò la legge sulla pena capitale. La sua successiva reintroduzione non riportò la detenuta nel braccio, dal momento che la norma non venne applicata retroattivamente.
All’udienza per la libertà vigilata nel 2016, Von Houten ha affermato che gli omicidi furono l’inizio di quella che Manson credeva fosse una guerra razziale imminente, che ribattezzò “Helter Skelter”, come una delle canzoni dei Beatles contenute nel “White Album” dalla cui lettura distorta il guru trasse ispirazione. Aggiungendo che i seguaci si preparavano a combattere e a vivere in un buco nel deserto californiano. Nell'attesa la comunità hippie si era basata in una tenuta fatiscente nella San Fernando Valley, lo Spahn Ranch, che negli anni '50 era stata usata come set cinematografico per girare film e serie western.
“Sono un uomo molto pericoloso”
Più che in un buco, alla fine, molti di loro finirono in galera. A cominciare da Charles Manson che, prima di reinventarsi guru-filosofo, era stato un piccolo criminale, entrato e uscito di prigione sin dall’infanzia, e in seguito si rivelò un musicista fallito, autore di brani che mescolavano rock, folk e blues. Sul finire degli anni ’60 iniziò a prendere sotto la propria ala le adolescenti in fuga e altre sbandate, in particolare giovani donne attraenti che usava e barattava con altri per fare sesso.
Nei decenni successivi alla condanna - il 29 marzo 1971 il seguitissimo processo si chiuse con una sentenza di morte, successivamente commutata in ergastolo, per tutti i componenti della cosiddetta “Family” - Manson non ha mai mostrato segni di pentimento. Al contrario ha continuato a coltivare la sua immagine “diabolica”, a volte negando qualsiasi ruolo negli omicidi, altre volte vantandosene. In un’udienza per la libertà vigilata nel 2012 disse: “Ho spedito cinque persone nella tomba. Sono un uomo molto pericoloso" ("I am a very dangerous man"). Manson ha cessato di esserlo il 19 novembre 2017 quando a 83 anni, dopo quasi mezzo secolo di prigione, è morto in ospedale a Bakersfield, in California, dove era stato trasferito per un cancro al colon.
La fine dei seguaci di "Satana"
Gli altri “angeli della morte”, che apparivano sorridenti in una foto del 1970 mentre venivano portati in tribunale, non hanno fatto una fine migliore. Susan Atkins, condannata per gli omicidi della “Family”, era un’adolescente in fuga che lavorava come ballerina in topless in un bar di San Francisco quando incontrò Manson nel 1967. Gli omicidi Tate-LaBianca rimasero irrisolti per mesi, sino a quando la Atkins che era in carcere per altre accuse, si vantò con una compagna di cella del proprio coinvolgimento.
Al processo affermò di essere “strafatta di acido” e di non ricordare quante volte avesse pugnalato Sharon Tate, mentre l’attrice chiedeva di risparmiarle la vita. È morta in carcere di cancro nel 2009. Aveva 61 anni.
Patricia Krenwinkel era una segretaria di 19 anni quando lasciò tutto per seguire Manson. Ma quella che credeva essere una relazione romantica si rivelò ben presto un rapporto violento. Dopo aver tentato di lasciare due volte il guru, venne trattenuta sotto l’effetto di droghe. Anche lei, in udienza nel 2016, raccontò di aver pugnalato sia Abigail Folger, nella villa di Polanski, sia Leno LaBianca. Ormai 75enne, Krenwinkel rimane in carcere dopo che le è stata negata la libertà più di una dozzina di volte. L’anno scorso la sua liberazione sembrava imminente, ma il governatore Newson ha annullato la decisione.
Anche Charles “Tex” Wilson a 77 anni resta in carcere. Dopo aver abbandonato il Texas arrivò nel 1967 in California in cerca di “soddisfazione attraverso droga, sesso e rock ‘n’ roll”. Ha ricordato di aver incontrato Manson a casa del batterista dei Beach Boys, Dennis Wilson. Trasportò in auto gli assassini alla villa di Cielo Drive, dove sparò al giovane Parent che cercava di andarsene. Partecipò a quelli e anche agli omicidi della notte successiva.
Una notte che Quentin Tarantino, nel suo distopico film “C’era una volta a… Hollywood”, immagina finire diversamente con la morte degli sbandati che non erano ancora diventati assassini. Ma questa è un’altra storia.

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Notiziario 12.07.2023, 11:12
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