Che la via della Brexit fosse lastricata di insidie e ostacoli non è mai stato un mistero per nessuno. Per i più convinti euroscettici, a maggior ragione per chi non caldeggiava lo strappo dall’Unione. Tra quest’ultimi Theresa May che il referendum dello scorso giugno ha catapultato da Whitehall, la sede del ministero degli Interni, al civico 10 di Downing Street. Lei che prudentemente si era schierata solo tiepidamente tra gli unionisti. Ma dopo che un voto popolare aveva sancito a larga maggioranza la fine della storia comunitaria del Regno Unito, era difficile prevedere che gli avversari più riottosi non fossero i negoziatori di Bruxelles.
Rallentamenti
A distanza di nove mesi da quella votazione le trattative non sono ancora cominciate, eppure la Premier ogni giorno incontra sul suo cammino un nuovo impedimento. Tra novembre e dicembre il brusco rallentamento stabilito dall’Alta Corte prima, dalla Corte Suprema poi, che le hanno imposto una votazione parlamentare prima dell’attivazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona. Quindi, raggiunto un accordo con l’opposizione ai Comuni, l’inattesa presa di posizione dei Pari, che le avevano imposto due scomodi emendamenti al disegno di legge Brexit.
Istanza secessionista
E finalmente ieri, quando anche le ultime resistenze parlamentari parevano essersi risolte, ecco la nuova sfida. Poche ore prima del voto di deputati e Lords che hanno ratificato in legge l’epilogo referendario, da Edimburgo la Prima ministra per la Scozia Nicola Sturgeon rilanciava l’istanza secessionista. Settimana prossima otterrà da Holyrood, il Parlamento devoluto scozzese, il mandato per inoltrare richiesta ufficiale a Westminster di un nuovo referendum indipendentista. A meno di tre anni da quello perso, malamente, nel 2014. Nonostante nel frattempo l’economia scozzese stia peggio - con il prezzo del petrolio imploso, il deficit pubblico esploso - i nazionalisti scozzesi non intendono accettare la “Hard Brexit" voluta da Londra, l’uscita dal mercato unico e la fine dell’unione doganale.
Intermezzo negoziale
Tecnicamente Theresa May potrebbe anche respingere la domanda, ma politicamente quel “o” diverrebbe un argomento formidabile per gli indipendentisti che hanno già fissato come orizzonte temporale per la nuova consultazione l’autunno 2018, al più tardi la primavera dell’anno successivo. Comunque nel mezzo dei negoziati Brexit. Oggi la Premier sarà ai Comuni per riferire dell’ultimo Consiglio Europeo: in molti credevano sarebbe stata l’occasione ideale per pronunciare l’atteso storico discorso, l’ufficializzazione del divorzio da Bruxelles, l’inizio formale dell’iter di uscita. E’ improbabile che succederà. Perché adesso la priorità dell’Esecutivo è trovare un’intesa lampo con il governo scozzese sulla data del referendum: May, che lo ha già definito “un’ossessione costituzionale”, finirà pur tra mille dubbi e ripensamenti per concederlo, ma solo a Brexit compiuta. Una condizione che richiederà polso fermo e mente lucida. L’ennesimo intermezzo negoziale che sta rallentando l’inizio delle trattative con l’Unione.
Lorenzo Amuso
Dal TG12.30:
Dal TG20: