Ormai lo chiamano "Qatargate": ha già portato all'arresto di 4 persone e ha inferto un severo colpo alla credibilità dell'Europarlamento. Fra gli arrestati nientemeno che Eva Kaili, vicepresidente dell'assemblea. Sugli indagati grava ormai l'accusa di aver accettato tangenti per influenzare le decisioni del Parlamento UE in senso favorevole agli interessi dello Stato arabo. Gli sviluppi della vicenda appaiono sconcertanti: nelle ultime ore si è parlato addirittura di borse piene di banconote scoperte dagli inquirenti nella residenza della eurodeputata greca, che è stata sospesa dalla vicepresidenza e radiata dal Partito socialista ellenico (Pasok), il suo schieramento d'appartenenza.
La gravità della vicenda è plateale. E dimostra come gli europarlamentari siano "fondamentalmente liberi di incontrare portatori di interessi, senza dover dichiarare i loro incontri", commenta Alberto Alemanno, docente di diritto europeo presso la Scuola di alti studi commerciali di Parigi. Inoltre la mancanza di doveri, di dichiarazioni e di controlli porta questi deputati "a incontrare anche rappresentanti di Paesi terzi, per influenzare decisioni in seno all'Unione": ciò, precisa l'esperto, non è vietato dal diritto internazionale, ma implica evidentemente trasparenza. "Ed è proprio la mancanza di trasparenza" che ha dato luogo "a collusioni, a eventi corruttivi".
SEIDISERA dell'11.12.22 - L'intervista realizzata da Chiara Savi
RSI Info 12.12.2022, 00:37
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L'Europarlamento, in buona sostanza, mostra di essere l'istituzione dell'UE meno soggetta a controlli. Ma perché? "I parlamentari europei", spiega Alemanno, "si sono sempre opposti all'obbligo di dichiarazione dei loro incontri, in nome del cosiddetto principio della libertà di mandato". Come a dire, "noi siamo in qualche modo rappresentanti del popolo" e ogni forma di obbligo o dichiarazione sugli incontri andrebbe "a comprimere questa libertà". Ma l'erompere del Qatargate mostra, in tutta evidenza, i limiti di questa argomentazione. "Io penso che sia possibile introdurre tali obblighi e mantenere al contempo una libertà. Nessuno vieta loro di incontrare rappresentanti di Paesi terzi o di altri interessi particolari, ma debbono dichiararlo", sottolinea, in modo che esista una tracciabilità.
C'è però un registro, benché con iscrizione facoltativa, che concerne le lobby attive al Parlamento UE. Che dire di questo strumento? È un registro "molto evoluto e sofisticato", osserva Alemanno. "Di fatto, seppur non sia obbligatorio, tutti i portatori d'interessi oggigiorno si sono iscritti". L'esperto segnala però l'esistenza "di buchi, che in qualche modo riguardano proprio i portatori d'interessi di Paesi terzi". Gli stessi che, in definitiva, hanno in qualche modo approfittato di queste lacune. In materia di lobbying molto spesso, rileva Alemanno, ci si focalizza solo su uno dei versanti del fenomeno: ossia i tentativi dei portatori d'interessi di incontrare i decisori. Ma il lobbying in realtà "è un po' come il tango": implica la presenza di due soggetti e quindi "abbiamo bisogno di introdurre degli obblighi, sia sul lato dei decisori, sia su quello dei portatori d'interesse".