La RSI, e in particolare la redazione del Radiogiornale, ha inviato due colleghi in Ucraina, Paola Nurnberg e Pierre Ograbek. Proprio Pierre Ograbek lascia oggi Leopoli, dopo 2 settimane, per rientrare in Ticino (verrà sostituito a breve da Emiliano Bos).
Un'esperienza professionale che non capita spesso e che vale la pena di raccontare. Quanto è difficile per un giornalista occidentale lavorare nell’Ucraina in guerra, Pierre?
Intanto in Ucraina ci si deve arrivare ed esclusivamente via terra visto che a volare sopra l'Ucraina sono solo e soltanto i jet russi, i droni e i missili. Io ci sono entrato a piedi perché nessun autista voleva accompagnarmi per poi ritrovarsi bloccato nella marea di auto e di persone a piedi, che attendevano dal lato ucraino per fuggire all'estero. Poi sono giunto fino a Leopoli chiedendo semplicemente un passaggio.
Ecco Pierre, una volta arrivato sul posto è stato facile muoversi?
Sì e no: da un lato ora c'è grande disponibilità da parte ucraina nel mostrare quali siano le conseguenze degli attacchi militari russi e ho quindi potuto muovermi con facilità. Non era stato così durante gli ultimi 8 anni, quando invece mi ero recato nel Donbass, regione in guerra dal 2014, dove occorrevano diversi permessi speciali e dove si sentivano quotidianamente degli spari nonostante i numerosi tentativi di tregua. Quindi lì i rischi erano sempre presenti, qui a Leopoli invece no.
Nell'Ovest dell'Ucraina gli echi della guerra rimangono allora tutto sommato lontani?
No, in realtà quasi tutti i giorni scattano le sirene per segnalare dei pericoli anche nei cieli sopra questa regione e si deve correre nei rifugi sotterranei anche nel cuore della notte. Poi al mattino mentre si fa colazione si controlla sullo smartphone dove ci sono stati degli attacchi. Qui nei paraggi sono stati colpiti diversi obiettivi strategici, ma niente a che vedere con quanto è andato in scena a Mariupol, a Kharkiv e a Kiev per esempio. Però bisogna comunque prestare attenzione: molto del tempo e delle energie vanno investiti nel monitorare la situazione, nel calcolare i rischi nel pensare a dove andare e dove non andare, rispettando gli orari del coprifuoco e anche quelli dei ristoranti, dove dopo le 19 è difficile farsi preparare una cena.
E poi comunque c'è la parte che riguarda il lavoro giornalistico…
Sì, non finiscono i grattacapi… per avere un quadro completo della situazione, sappiamo quali restrizioni abbiano imposto le autorità russe ai giornalisti stranieri nel parlare della guerra, che sono chiamati a rispettare le indicazioni fornite dal governo. Qui in Ucraina no, ci si può esprimere liberamente, ma mancano però molte informazioni su tutto quanto sta capitando in questo Paese così vasto. La difficile situazione nel sud del paese non trova ad esempio molto spazio, si parla invece molto di atti eroici e del modo in cui i soldati ucraini sottraggono mezzi agli invasori, si parla delle imboscate messe a segno contro i blindati russi… Lavorando attraverso molte fonti si riesce comunque ad avere un'idea di quel che sta succedendo. Questo però implica molto più lavoro, molta più analisi, molto più tempo e anche molta più cura.
L'inviato Pierre Ograbek durante il suo lavoro in Ucraina