Donald Trump ha dichiarato senza troppi giri di parole: “Gli USA intendono prendere il controllo della Striscia di Gaza”. Lo ha affermato con a fianco il premier israeliano Benjamin Netanyahu, volato negli Stati Uniti per incontrare il presidente appena insediatosi. Ma, quanto fa sul serio Trump con queste esternazioni? Il nostro Radiogiornale lo ha chiesto a Marco Pinfari, specialista mediorientale e professore all’Università di Pavia:
“È possibile, come sta succedendo con la minaccia di imporre dazi, che Trump stia alzando la posta con l’obiettivo di ottenere qualcosa come soluzione diciamo di compromesso. Ma se questa fosse effettivamente la soluzione definitiva proposta dall’amministrazione Trump, ci sarebbero enormi problemi da un punto di vista etico e legale, perché quella che viene prefigurata (da Trump, ndr) è essenzialmente una forma di pulizia etnica della Striscia. E verrebbe da aggiungere che sta effettivamente facendo i conti senza l’oste, che sono gli egiziani e i giordani. L’Egitto in questa soluzione dovrebbe accettare di accogliere probabilmente un milione o forse più di palestinesi ma ha già messo in chiaro che questa è una soluzione, da un punto di vista politico e da un punto di vista anche pratico, che non intende accettare.”
Trump (d) con il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Washington però ha i mezzi finanziari per esercitare pressioni su Egitto e Giordania, paesi fortemente dipendenti dal supporto americano…
“È una delle possibili letture di questa situazione, e la chiusura almeno temporanea dell’agenzia USA (per l’aiuto internazionale, ndr,) appena avvenuta sta avendo delle ripercussioni in Egitto; però in questo caso la posta in gioco è troppo alta, quindi dubito che la leadership egiziana anche di fronte a possibili pressioni da un punto di vista economico e di aiuti allo sviluppo, possa accettare quella che effettivamente sarebbe la ricollocazione di moltissimi palestinesi. Anche per questioni di sicurezza interna: perché non dobbiamo dimenticare che Hamas è legato ai Fratelli musulmani che a loro volta hanno un rapporto diciamo molto problematico con il regime egiziano”.
C’è poi l’Arabia Saudita: il Paese di peso nell’area che ha già minacciato di non portare più avanti il processo di normalizzazione delle relazioni con Israele. Un processo mediato proprio da Donald Trump…
“Io credo che l’Arabia Saudita possa essere disposta a discutere di una serie di soluzioni anche diciamo pragmatiche per la questione palestinese, ma sicuramente non si esporrebbe ad una soluzione diciamo così radicale. La speranza di poter coinvolgere l’Arabia Saudita in un processo di pace rimane, ma sicuramente non con esternazioni del genere che creerebbero fortissime proteste e forse potrebbero anche minare la stabilità della casa saudita a livello interno”.
Professor Pinfari, secondo lei quanto dichiarato da Donald Trump era concordato con il premier israeliano Netanyahu? In fondo ha avallato la visione della destra nazionalista alleata di Netanyahu…
“Sicuramente in termini diciamo di risultati da un punto di vista politico diplomatico viene da pensare che ci sia una forma di coordinamento. Certo, Trump in queste settimane ci ha abituato ad affermazioni che sembrano ispirate più ad un nuovo approccio, un suo approccio personale ai vari processi negoziali in corso, che siano legati all’immigrazione illegale attraverso il confine messicano, oppure a dispute commerciali con Cina e altri paesi. Certo un risultato del genere farebbe sicuramente contenta la parte più conservatrice, se vogliamo più estremista, del governo israeliano”.