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Haiti allo stremo

La Corte Suprema in Kenya blocca l’invio di rinforzi armati, mentre l’anno si è concluso con record di crimini

  • 27 gennaio, 13:20
  • 27 gennaio, 13:20
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RG 12.30 del 27.01.2024 La corrispondenza di Laura Daverio

RSI Info 27.01.2024, 13:19

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Di: Laura Daverio 

Da mesi si attendeva l’arrivo dei primi 1’000 poliziotti che aiutassero a contenere la violenza ad Haiti. Sarebbero venuti dal Kenya, l’unico Paese che si è fatto avanti per guidare la coalizione armata internazionale approvata dal consiglio di sicurezza dell’ONU lo scorso ottobre. Ma la Corte Suprema kenyana ha dichiarato incostituzionale inviare la polizia all’estero, lasciando la situazione in un limbo. Pochi altri Paesi si erano offerti di unirsi alla coalizione e adesso anche il loro possibile intervento rimane sospeso.

Ad Haiti la notizia ha trovato reazioni miste, la richiesta di aiuto partita dal primo ministro Ariel Henry aveva già provocato proteste. Non perché non ci sia bisogno di aiuto, ma perché Haiti ha una storia di fallimenti e abusi che hanno accompagnato interventi internazionali sul suo territorio. L’ultima missione delle Nazioni Unite, durata dal 2004 al 2017, è stata costellata di accuse di violazioni dei diritti e violenza sessuale. Nel 2010 i caschi blu dell’ONU hanno anche incautamente importato acqua contaminata con il colera dal Nepal, dando inizio a un’epidemia responsabile di aver ucciso quasi 10’000 persone.

Dall’uccisione del presidente Jovenel Moïse, nel luglio del 2021, il paese è crollato in una crescente spirale di violenza e perdita di controllo.  Bande criminali ormai controllano oltre l’80% della capitale, oltre a vari territori nel Paese. Lo scorso anno Haiti ha registrato 4’500 omicidi, più del doppio rispetto all’anno precedente. Ci sono poi i rapimenti per ottenere il riscatto, 2’500 casi solo l’anno scorso.

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Il premier Ariel Henry

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Il primo ministro, che non è mai stato popolare, ha assunto potere poco dopo l’assassinio del presidente Moïse, con il compito di organizzare elezioni e dare stabilità al Paese. Nulla di tutto questo è avvenuto e il peggioramento della sicurezza rende oggi molto difficile organizzare un’elezione.

Henry aveva anche promesso investigazioni sull’omicidio del presidente, ucciso letteralmente nel suo letto di casa, una residenza murata che doveva essere zona di massima sicurezza. Dopo arresti ampiamente pubblicizzati, però, non sono seguiti processi. Pubblici ministeri a capo delle investigazioni sono stati licenziati e sono anche emerse presunte conversazioni telefoniche che legherebbero lo stesso primo ministro a uno degli uomini implicati nell’assalto. Investigazioni parallele negli Stati Uniti hanno condotto alla condanna di tre persone a Miami, incluso un ex senatore di Haiti.

Il mandato di Ariel Henry sta giungendo alla scadenza, che sarà il prossimo 7 febbraio, ma lui non si è ancora espresso al riguardo. Non si sa se lascerà il posto, o chi potrebbe sostituirlo. E in questa condizione di estrema vulnerabilità politica si è inserita una nuova variabile, il rimpatrio di un ex golpista, Guy Philippe. Leader del “coup” armato che ha deposto il presidente Jean-Bertrand Aristide nel 2004, era stato arrestato nel 2017 ed estradato negli Stati Uniti, dove ha scontato sei su nove anni di sentenza in prigione per traffico di droga. E’ rientrato ad Haiti nel novembre scorso e da allora ha cercato supporto per una rivoluzione, che però lui dice non sarà violenta. Nel frattempo sta organizzando proteste.

Tra violenza, economia stagnante e disastri naturali esasperati dai cambiamenti climatici, Haiti rimane il paese più povero in America Latina e Caraibi. Solo l’anno scorso 150’000 persone hanno lasciato l’isola cercando di raggiungere gli Stati Uniti.

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